Da Gino c’è la pizzeria ma poi si mangia sardo

Come fa una pizzeria, per giunta decentrata, a insediarsi, in varie classifiche, quasi ai vertici della ristorazione triestina? Risposta semplice: perchè è anche una pizzeria, ma non solo. La vera...
Di Furio Baldassi

Come fa una pizzeria, per giunta decentrata, a insediarsi, in varie classifiche, quasi ai vertici della ristorazione triestina? Risposta semplice: perchè è anche una pizzeria, ma non solo. La vera sorpresa, in effetti, arriva quando assieme al consueto profluvio di margherite, romane o quattro stagioni ti viene proposto un intero menù sardo. Merito di Angela, sarda di nascita, che dopo la morte del marito, Luigi Napolano, è diventata l’anima del locale.

Parentesi a parte per lo stesso Napolano, cui viene accreditato il merito di essere stato il primo pizzaiolo approdato in città nel lontano 1963. All’epoca esercitava in via Ginnastica, vicino al Viale, in un posto che non c’è più, la pizzeria Da Michele. Da lì il volo verso vari altri locali, prima di dar vita alla sua pizzeria, insediata da oltre un decennio in via Pascoli, di fronte all’ex Eca, ora Itis. Immutata nel suo arredamento, che fa un po’ stube tirolese, ma rassicurante anche per questo.

Napolano, bisogna ricordare anche questo, era un vero artista del piatto più popolare. La sua pizza è sempre stata un perfetto connubio di flessibilità e croccantezza. Niente a che fare, dunque, con certi dischi volanti di pura gomma americana o tizzoni bruciacchiati in cui si incappa di tanto in tanto, e soprattutto col temutissimo effetto “litro di minerale nel cuore della notte” di cui rimane vittima chi mangia, di sera, pizze non ben lievitate.

Un’arte, la sua, che è riuscito a tramandare al figlio Alessandro. Che ha anche una dichiarata passione per i piccoli produttori, siano quelli di formaggi o salumi sardi o quelli del “Continente”. Da provare, dunque, tra gli antipasti, il prosciutto di pecora o capra, le patate come si preparano a quelle latitudini, i funghi ripieni di crema di ricotta piccante.

Tra i primi, da non perdere la delicata consistenza delle “lasagne” di pane carasau e pecorino, o magari i kulurgiones burro e salvia, o le tagliatelle fatte in casa col ragù di pecora. E ancora: gli gnocchetti alla Campidanese, i ravioli con la ricotta sarda affumicata su crema di pecorino, un pasticcio con crema di carciofi e bottarga. Ampia dotazione anche quando si scende sul terreno della carne, dove non mancano neanche l’agnello da latte con olive di campagna e mirto, cotto nel forno a legna o la sella di agnello con pomodoro e piselli. Insomma, una specie di ambasciata di Cagliari e dintorni di cui probabilmente tanti ignorano l’esistenza.

Tra le bevande spunta qualche vinello sardo ma, visto il contesto, non perdetevi la “Buffa” una birra artigianale sarda, ambrata e gustosa.

Ai saluti finali, altro colpo di scena: va bene che è una pizzeria a metà, ma vedersi offrire invece dell’eterno limoncello due o tre tipi di mirto, sorprende in positivo. Ampia la forbice del conto finale. Sotto la media se si resta in settore pizzaiolo, sui 30 euro se si va sul menù sardo. Ma la curiosità, si sa, vince sempre.

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