Da Bloomsbury ai selfie cent’anni di Regno Unito sulle copertine di Vogue

LONDRA. Una giovane Claudia Schiffer in versione glam-rock anni ’80, uno scatto dei Beatles mai pubblicato, una sorridente principessa Diana. Sono solo alcune delle 280 immagini nella mostra “Vogue...
Di Viviana Attard

LONDRA. Una giovane Claudia Schiffer in versione glam-rock anni ’80, uno scatto dei Beatles mai pubblicato, una sorridente principessa Diana. Sono solo alcune delle 280 immagini nella mostra “Vogue 100: A Century of Style”, inaugurata alla National Portrait Gallery di Londra l’11 febbraio e aperta fino al 22 maggio. Suddivisa in sedici stanze, la rassegna offre uno spaccato della società, del costume, della cultura visiva nel Regno Unito, e non solo, sotto la lente patinata della celebre pubblicazione.

Contrariamente alla disposizione abituale di ogni retrospettiva, la storia di “Vogue 100” inizia dalla fine: dal 2016 sino ad arrivare agli esordi nel 1916, quando a causa di blocchi doganali l’editore Condé Nast si vide rifiutato il dispaccio di Vogue Usa in Europa. Per ovviare al problema, diede l’ordine di creare una versione identica a quella americana: i servizi di moda, infatti, venivano decisi ed eseguiti dalla “casa madre”. Unica eccezione lo spelling, rigorosamente britannico.

E così, varcando la soglia al pianterreno del museo, si viene accolti da una piccola anticamera, dove, su una decina di strutture in metallo calate dal soffitto sono appese in successione alcune delle cover più significative della rivista, a partire proprio da quelle dei primi del ‘900. Tra le copertine più famose, testimonianza dei cambiamenti del costume, ecco Twiggy con caschetto biondo e trucco mod; una giovane e quasi irriconoscibile Jerry Hall, ex modella e moglie del fondatore dei Rolling Stone, Mick Jagger; la cover del ’97 per la commemorazione della morte della Principessa Diana, una giovane Liza Minelli nel settembre del ‘73.

Oltrepassata la chiassosa “barriera di celebrità” di slogan, facce e colori pop, ci si ritrova in un lungo corridoio, molto più sottotono, che conduce alle altre sale, ognuna dedicata a una decade diversa. Unica eccezione, “100 Years in Vogue”, una serie di primi piani in bianco e nero inediti che ritraggono alcune icone della moda: un primo piano del ventiduenne Yves Saint Laurent fotografato da Irvin Penn nel 1958 in occasione della sua prima sfilata a Parigi, una sensuale Jane Shrimpton immortalata nel 1962 da David Bailey, una versione rara dallo scatto più famoso di Horst, “Il corsetto Mainbocher” dal quale Madonna anni dopo prenderà ispirazione per un suo video. A osservare il tutto, un sardonico e strafottente Alexander McQueen, in un ritratto scattato da Tim Walker nel 2009.

Varcando la soglia di ogni singola sala, però, ci si immerge in un’epoca diversa, contrassegnata da un’ambientazione specifica (pareti laccate in rosso per gli anni 40, boiserie in legno per gli anni ’20, ad esempio) o da iconografie e personaggi conosciuti. Il protagonista degli anni 2000, ad esempio, è Tim Walker con i suoi colori accesi e le composizioni surrealiste. Le “grandi” donne, invece, firmano gli anni ’90: che siano le “supermodels” (Naomi Campbell, Cindy Crawford, Linda Evangelista, Christy Turlington e Tatiana Patitz) immortalate nel gennaio 1990 da Peter Lindbergh, esordienti come una sconosciuta Kate Moss, o teste coronate, come Lady D, sono loro a farla da padrone. Incontrastata “regina di cuori”, la sorridente Diana ritratta in bianco e nero da Patrick Demarchelier per la copertina di dicembre 1990 è lo scatto più ammirato e fotografato.

Il culto del fisico, gli eccessi e le stravaganze, i tumulti politici e sociali, invece, sono il mix curioso di ritratti e copertine che caratterizza gli anni ’80 dal punto di vista di Vogue. Il volto austero e il tailleur scuro del primo ministro Margaret Thatcher, ritratti da David Bailey nell’ottobre del 1985, contrastano, infatti, col giovane romanziere Salman Rushdie in camicia e pantaloni e con le modelle, belle e colorate, immortalate per le vie di Parigi.

Ogni stanza “incorona” il proprio idolo: l’androgino David Bowie negli anni ’70, l’intellettuale Lucian Freud negli anni ’40, gli irriverenti anni ’30 con Josephine Baker in un ritratto mai pubblicato perché giudicato troppo osé, la Belle Epoque di Charlie Chaplin. Anche gli anni della guerra, seppur in versione striminzita e avvolti in una forzata aura glamour, trovano posto su Vogue. Laccata in rosso acceso, la sala propone scatti di guerra della modella americana diventata fotografa, Lee Miller, a fianco del New Look di Dior con macerie sullo sfondo. In quel periodo, infatti, Vogue era considerata uno strumento utile - anche dal governo - per far dimenticare la miseria e i dolori del conflitto.

I primi anni della rivista, infine, sono caratterizzati dalle copertine illustrate dello spagnolo Eduardo Benito e di Cecil Beaton e dalle icone culturali e aristocratiche dell’epoca. Tutto, o quasi, di quello che ha influenzato la vita pubblica del paese. C’è la ricchezza, lo stile e l’eleganza della prima guardia - quando Vogue era diretta da Dorothy Todd, con amici nelle fila del “circolo Bloomsbury” disposti ad allietare le lettrici con i loro scritti, e il presenzialismo contemporaneo delle “celeb” dell’ultima ora, Cara, Gigi, Kendall, dal selfie incessante e l’invasione sui social. Non manca nemmeno la carrellata di nomi famosi e l’Inghilterra stereotipata conosciuta ai più: le strade di Londra, i paesaggi di campagna, i famosi “trombini”. Quello che manca, forse, è una vera panoramica sociale e culturale degli ultimi cento anni. E se ci fosse, non sarebbe più “Vogue”.

A corredo della mostra, Vogue ha organizzato una serie d’iniziative. Si parte con “Late Shift extra: Vogue 100 After Hours” il 16 aprile, dove, dalle 19 alle 22, i partecipanti s’immergeranno - per la modica cifra di 30 sterline - in un’esperienza unica tra cocktail ideati per l’occasione, uno studio dove scattarsi foto in puro stile “Vogue”, ascoltare un intervento sulla fotografia di moda e visitare la mostra. “Fashion, Women & Society” il 3 marzo, e “Alexandra Schulman in conversation” (l’attuale direttrice) il 14 aprile, invece, avranno come tema la moda e la sua evoluzione. Una selezione di pellicole d’autore, introdotte da studenti della prestigiosa Central Saint Martins (da “Easy Rider” a “Il giardino delle vergini suicide”) animeranno i sabati di qui a maggio. Infine, workshop che spaziano da corsi di figurino a fotografia.

Imperdibile (a dispetto del prezzo “salato”) l’edizione limitata di biscotti del marchio “Biscuiteers” che ha riprodotto una selezione di 16 copertine famose tutte da mangiare. Per le fashioniste più agguerrite, infine, Vogue ha commissionato accessori e oggetti venduti solo alla National Gallery: sciarpe e foulard in seta ispirati alle cover vintage della rivista, cuscini con riproduzioni di illustrazioni di Vogue del 1910 e 1920, gioielli in oro e acrilico con punti di domanda e bocche rosse, una serie di lucidalabbra e rossetti naturali in confezioni retrò che si rifanno al make up degli anni ’20, una borsa di pelle e un cappello rosso in lana ispirati alla foto “The second age of beauty is glamour” scattata nel 1946 da Cecil Beaton. www.npg.org/vogue100

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