Cristicchi a Muggia canta Battiato in coppia con Amara: «Una ricerca interiore»

Il musicista sarà domenica pomeriggio al Verdi di Muggia: «Con Magazzino 18 ha riempito un vuoto d’ignoranza»
Gian Paolo Polesini

MUGGIA Nonostante le forti radici capitoline Simone Cristicchi ha un debole per il Friuli Venezia Giulia. Oddio, abbiamo anime contrapposte, loro e noi, per questo fa specie. Fatto sta che è così. «C’è un legame con questa terra che mai oserei affermare solamente per accattivarmi il pubblico se non fosse autentico. E la messinscena di “Orcolat 76” è la prova inconfutabile di una palese affinità elettiva con voi», dice lui che domenica alle 17.30 al Teatro Verdi di Muggia (data esaurita da tempo) conclude la tournée regionale dell’Ert con il nuovo progetto musicale— “Torneremo ancora” — concerto mistico per Battiato.

Cristicchi ci porta alle origini del pensiero colto che l’ha avvicinata, assieme ad Amara, ai suoni spirituali del maestro?

«Un incontro, come spesso succede. Con il manager storico di Franco, precisamente. E con lui (e assieme ad Amara, cantautrice talentuosa) ho cercato di allestire un repertorio che potesse rappresentare un prolungamento della nostra analisi. Battiato ci indicò molte strade di ricerca interiore attraverso la sua musica e seguirle mi è parso il modo migliore per onorare il testamento che lui ha lasciato».

La scelta del nostro compositore, pianista e direttore d’orchestra Valter Sivilotti, nonché dei solisti dell’Accademia Naonis di Pordenone e del percussionista U.T.Gandhi conferma la sua attrazione per il Friuli. «Valter ha la dote di avere “un tocco” assolutamente originale, quello che serviva per riarrangiare i brani restituendo la fedeltà all’opera, sebbene con la volontà di imporre una tonalità nostra, le sonorità d’Oriente, le campane Tibetane, suoni che Franco amava».

Lei scrive nella presentazione: “Un viaggio musicale alla ricerca dell’essenza nella confusione della modernità”. «Confusi lo siamo un po’ tutti, spaesati da una fase storica che ci ha lasciato addosso ogni tipo di crisi: spirituale, culturale, antropologica, psicologica. Siamo persi e cerchiamo disperatamente una bussola. Non credo che abbiamo ancora metabolizzato la pandemia. L’istinto, appunto, mi dice di tornare all’essenza, alle riflessioni, quelle semplici che mi ricollegano al passato e al puro senso della vita».

È un’impressione sbagliata o la gente si è incattivita?

«Diciamo che la pandemia ha amplificato ciò che già esisteva».

Come ha vissuto la vita chiuso in casa?

«Devo dire bene, ho liberato tutta la mia creatività. Da ragazzo disegnavo fumetti…».

Lei è stato pure allievo del grande Jacovitti.

«Lo conosce?».

Eccome no, un mito!

«Mi fa piacere. Lo è stato pure per me quattordicenne. Me la cavavo con la matita e complice l’elenco telefonico scoprii che viveva a Roma, come me. Lo chiamai e lui mi disse: “vieni a farmi vedere come disegni”. Fu gentilissimo e confermò che del talento c’era».

E poi?

«Mi stancai, forse esagerai coi fumetti e buttai via tutto offrendomi totalmente alla musica per recuperare pennelli e tele, appunto, durante il lockdown. Ho pure esposto i quadri in qualche mostra. E scrissi anche un libro, “Happy Next: alla ricerca della felicità”».

La sua carriera prese il volo quando arrivò “Biagio” e la sua canzone divenne il tormentone dell’estate, quindi: vittoria.

«In realtà quel disco non era dedicato ad Antonacci, bensì a tutti quegli artisti che non trovavano spazi. Biagio fu un ironico escamotage. Riassumendo, ci ho messo una decina d’anni a uscire dall’anonimato. La gavetta me la sono davvero fatta tutta».

Sono dieci anni da “Magazzino 18”, Simone. Un atto d’amore per una tragedia che la storia non ama ricordare.

«Proprio per questo decisi di sviscerare quel fatto di immane sofferenza. C’è ignoranza, forse troppa e mi sembrò giusto riempire quel vuoto con uno spettacolo. Che, fra l’altro, ebbe molto successo».

Sanremo: la sua vittoria del 2007. Che mi dice dell’ultima edizione? L’ha innanzitutto vista?

«Amadeus ha dato la sua impronta forte. Vivendo l’ambiente mi vedo costretto a consegnarle un giudizio sospeso. Una cosa gliela dico: su quel palco è mancata la poesia. Evidentemente non c’è stata la volontà di farla partecipare».

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