Cristiana Capotondi indaga nelle storie di “Bella da morire”

Una serie tv in quattro episodi su Rai 1 a partire da domenica L’attrice: «Sono una poliziotta che solleva il velo sui femminicidi» 

la protagonista

«Mi auguro che questa miniserie la guardino tanti uomini, donne, figli e figlie, compagni e nostri fratelli. Penso che il» contro «non porti niente di buono. Non a caso al centro di questa storia ci sono tre donne con ruoli apicali che insieme combattono una battaglia giusta». “Bella da morire”, come racconta la protagonista, l’attrice Cristiana Capotondi, si fa carico di una tematica molto complessa e delicata quale la violenza contro le donne, coniugandola in una storia che non teme di affrontare una delle paure e delle tragedie della società contemporanea. “Bella da morire” vuole scardinare i pregiudizi e le convinzioni comuni. Una serie tv in quattro prime serate in onda su Rai1 da domenica 15 marzo con Capotondi nel ruolo dell’ispettrice Eva Cantini, che vede dietro la macchina da presa un regista talentuoso come Andrea Molaioli (La Ragazza Del Lago, Il Gioiellino) e scritto da Filippo Gravino, Flaminia Gressi e Davide Serino. Una produzione Cattleya in Collaborazione con Rai Fiction. Capotondi non è la prima volta che si confronta con personaggi vittime di abusi, ha interpretato Lucia Annibali in «Io Ci Sono», ma anche il film di Marco Tullio Giordana “Nome di Donna”. In Bella da Morire è una determinata ispettrice di polizia impegnata nell’indagine sull’omicidio di Gioia Scuderi (Giulia Arena), considerata essere la più bella del paese, era soprannominata «la regina dei cuori infranti». Il suo cadavere viene trovato in fondo ad un lago. «Una serie crime che vuole contribuire a sollevare veli sui femminicidi, cercando di restituire la complessità, i retroscena e le sfumature di queste storie - aggiunge l’attrice - è ancora più grave perché oltre a uccidere una donna, si uccide anche la femminilità che rappresenta». Una fiction che «ci auguriamo che attraverso il potente mezzo televisivo possa portare al pubblico con un messaggio di speranza per tutte le donne, e anche agli uomini, quando non è troppo tardi, la dimostrazione che dalle catene di un’amore malato ci si può liberare». —

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