Crema fritta e torta di ricotta: i piatti preferiti da Italo Svevo nelle cene di famiglia

TRIESTE Sei tuorli d'uovo, 60 grammi di zucchero, latte, farina e un bicchierino di rum. La crema fritta era in assoluto uno dei dolci più amati da Italo Svevo: nei suoi libri non parla mai di cibo ma sappiamo che era goloso e che adorava anche la torta di ricotta. Ingredienti e dosi delle preparazioni da lui tanto apprezzate uscivano tutte da un quaderno dalla copertina marmorizzata bianca e nera, oggi riscoperto tra le carte di famiglia: all'interno, ricette che, nonostante una semplicità lontanissima dai piatti alambiccati dei masterchef d'oggi, riescono a evocare e restituire, con nitidezza e un pizzico di nostalgia, un mondo che non c'è più. A ricostruire la storia di questa piccola reliquia ci ha pensato Alessandro Marzo Magno, scrittore che da sempre intrattiene un'intensa storia d'amore con la cucina. “Il ricettario di casa Svevo” (La Nave di Teseo, pagg. 157, euro 11) da lui curato, è un appassionato viaggio a ritroso nel tempo, agile, affettuoso e dal sapore dolceamaro. Il libro fa seguito a un’analoga iniziativa del Piccolo, che, nel 2014, aveva regalato ai suoi lettori, “A tavola con Italo Svevo. Il ricettario di Villa Veneziani” a cura di Simone Volpato, con la consulenza del Museo Sveviano.
Il volumetto di Marzo Magno, con l’introduzione di Susanna Tamaro, presentato da SaluMare in via Cavana 13: alla presenza del curatore Piero Anzellotti e Valerio Fiandra. È Tamaro stessa a spiegare il motivo del suo “antipasto” al libro: l'autrice delle ricettine e proprietaria del quaderno era la bisnonna Dora, una delle sorelle di Livia Veneziani quindi «cognata nonché cugina dello zio Ettore, in arte Italo Svevo, il quale si dev'essere deliziato della stessa identica cucina dei miei pranzi infantili».
Perfino la torta al cioccolato del suo best-seller “Va' dove ti porta il cuore” proviene dal quadernino della bisnonna: patrimonio, quindi, comune ai due scrittori. E se è con humour che Tamaro s'interroga sul momento in cui «profeti della quinoa» han preso il sopravvento, riflette che «la cucina è memoria, e una parte fondamentale della memoria familiare».
Multilinguistica e multiculturale, Villa Veneziani lo era già per disposizione topografica: al civico 22 del vecchio passeggio Sant'Andrea, si ergeva tra la Transalpina, la ferrovia per Vienna che partiva da Campo Marzio e l'Ospizio Marittimo, con i suoi emigranti in procinto di salpare per gli Stati Uniti. In mezzo a questo crocevia di genti sorgeva questo strano blocco, unione di abitazioni e fabbrica dove veniva lavorata la magica vernice antivegetativa. Microcosmo quasi autosufficiente, via vai di genti diverse ma anche melting pot stanziale, con una cinquantina di persone tra membri della famiglia e personale di servizio di varie etnie. «Una riproposizione in scala della multiculturalità di Trieste», scrive l'autore. E un clima che attirerà tanti intellettuali: Eugenio Montale, James Joyce, Leo Ferrero, Bobi Bazlen, praticamente di casa. «Senza quella villa – dice Marzo Magno - la storia della letteratura europea sarebbe stata diversa».
Le ricette scandiscono il trascorrere degli anni e i mutamenti storici: se a Pasqua non mancava mai la pinza, il “Vov di guerra”, con dosi dimezzate di zucchero e cognac, allude chiaramente al primo conflitto mondiale. Con Trieste italiana, Villa Veneziani tornerà a essere punto di riferimento: si riprende a celebrare le festività e a sfornare frittole, “farcite” di regalini per i nipoti come ha ricordato uno di loro, Fulvio Anzelotti. Se il giovedì, poi, era dedicato ai parenti, la domenica si apriva agli amici con biscotti e sandwich di fogge e gusti diversi, ghiotti presnitz e kugelhupf. Si beveva vino e slivovitz, serviti agli adolescenti in tutta tranquillità. Uno sferragliante tram fermava proprio di fronte alla casa riversandovi gli ospiti: pare di vederli, gli invitati a quelle memorabili domeniche, tra cui un quindicenne Gillo Dorfles nella versione, divertente e inedita, di abilissimo ballerino. —
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