Craxi, vent’anni dalla morte tra questione morale e vendette di potere

Marcello Sorgi lo ricorda in “Presunto colpevole” e l’ex braccio destro Claudio Martelli in “L’antipatico”
1991 ROMA, BETTINO CRAXI
1991 ROMA, BETTINO CRAXI

la recensione



«Si può avere un po’ d’olio?». Infastidito di fronte alle domande più imbarazzanti, e ne piovevano tante in quei mesi in cui, dopo il ‘mariolo’ Mario Chiesa, su tanti altri amministratori del Psi fioccavano gli avvisi di garanzia, Craxi dribblò elusivo anche quel cronista che durante una cena lo avvicinò con il microfono in mano. L’episodio, ripreso dalle telecamere, è raccontato da Marcello Sorgi in ‘Presunto colpevole. Gli ultimi giorni di Craxi’ (Einaudi stile libero, 104 pagg., 13 euro), un libro che troverà molti estimatori tra quanti erano stati a suo tempo ammaliati dal decisionismo di Ghino di Tacco, come era stato chiamato da Scalfari.

Sorgi, che ha vissuto in presa diretta molti degli avvenimenti che descrive, come quando venne inviato ad Hammamet per intervistare Craxi e fu fermato dalla polizia tunisina (su ordine del politico) e trattenuto in cella per qualche ora, ne fa un ritratto ‘dalla parte di’. Il che non stupisce, perché in occasione di un anniversario, e in questi giorni cadono i vent’anni della sua scomparsa, non si parla mai male del protagonista. Ma certo appare strano quel paragonare Craxi a Moro, uniti da un filo di ferro che, ragiona Sorgi, sta “nell’incapacità dello stato che sarebbe potuto intervenire, e non lo fece, per salvar loro la vita”.

Craxi pensava di poter opporre la sua aspra indifferenza a quello che sembrava un intoppo passeggero. Le cose andarono in modo ben diverso, con un finale molto poco italiano, per un paese abituato al melodramma e non alla tragedia. Tanto che se ne stupì lo stesso protagonista, che non si raccapezzava di come lui solo fosse stato disarcionato e gettato nella polvere, mentre altri personaggi di quella stagione venivano avvolti da una certa indulgenza seppur da cipiglio alzato, ma solo per poco. Così gli ultimi anni trascorsi in Tunisia sono stati quelli di un uomo arrabbiato, ma soprattutto disorientato di fronte a un destino da ‘perché solo a me?’ che gli sembrava incomprensibile.

Una lettura sposata, in questi giorni di commemorazione dei vent’anni della sua scomparsa, oltre che da ‘Hammamet’, il film di Gianni Amelio con uno strepitoso Pierfrancesco Favino e dal libro di Sorgi, anche da Claudio Martelli. E pour cause si potrebbe dire in questo caso, visto che Martelli è stato il suo più stretto collaboratore e in ‘L’antipatico. Bettino Craxi e la Grande Coalizione’ (La Nave di Teseo, 223 pagg., 18 euro) afferma “ho passato vent’anni a difenderlo e ancora non ho smesso”. Per Martelli Craxi non fu messo con le spalle al muro dalla questione morale, ma da una lotta di potere guidata da una cupola composta tra gli altri da Carlo De Benedetti, Scalfari, Romiti e che usò il diffuso sistema di corruzione come arma contundente per liberarsi di un ingombrante avversario.

L’idea del complotto viene suggerita anche da Sorgi, che chiama in causa la Cia e gli americani, cui non sarebbe mai andato giù lo sgarbo di Sigonella, quando Craxi, da presidente del consiglio, schierò i carabinieri con le armi in pugno di fronte ai marines. Erano anni in cui “l’ottimista dall’aria vagamente socialista” come cantava Venditti governava un’Italia in forte ripresa. Tanto che lo stesso Craxi intitolò ‘E la nave va’, come il film di Fellini del 1983, una sua raccolta di saggi usciti due anni dopo. In una storia d’Italia uscita nel 1992, Silvio Lanaro aveva scritto: “L’uomo mediamente non piace. Sembra vanesio, arrogante, cinico, iracondo. Ha in mente un progetto chiarissimo, restituire identità e immagine al socialismo italiano, strappandolo dall’alveo marxista e reinserendolo in una tradizione mutualistica, laburista, umanitaria”.

Non si può dire che vi riuscì. In un recente saggio, lo storico Miguel Gotor sostiene che Craxi sottovalutò o preferì non vedere come la sua rapida ascesa fosse stata accompagnata dalla nascita di una rapace classe politica. Il rampantismo cinico convinto di rimanere impunito finì con l’essere travolto. Alcuni scomparvero dalla politica, molti si riciclarono, Craxi pagò il prezzo più alto. —



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