Craxi da Hammamet: «Berlusconi, un ingenuo Scalfaro, un baciapile»

di Roberto Bertinetti «La battaglia della storia non gliela faccio vincere. Scrivo perché spero di essere letto, ascoltato. E anche perché gli scritti rimangono» affermava Bettino Craxi durante l'esi...
Di Roberto Bertinetti
29 Jun 1998 --- Original caption: The former Italian socialist party head (PSI), accused of corruption has taken refuge in Tunisia. --- Image by © Jeremy Bembaron/Sygma/Corbis
29 Jun 1998 --- Original caption: The former Italian socialist party head (PSI), accused of corruption has taken refuge in Tunisia. --- Image by © Jeremy Bembaron/Sygma/Corbis

di Roberto Bertinetti

«La battaglia della storia non gliela faccio vincere. Scrivo perché spero di essere letto, ascoltato. E anche perché gli scritti rimangono» affermava Bettino Craxi durante l'esilio nordafricano. Ora quell'appunto chiude “Io parlo e continuerò a parlare”, la raccolta degli articoli inviati in Italia da Hammamet a quotidiani e riviste appena uscita a cura di Andrea Spiri (Mondadori, 264 pagine, 18 euro). Dalla Tunisia il leader socialista racconta la sua verità sulle ragioni del crollo del vecchio sistema, sulle fosche prospettive della Seconda Repubblica che, ammonisce, «sembra aver smarrito la strada verso il futuro nel quale aveva riposto speranze e illusioni», sul processo di costruzione europea che giudica errato e pieno di rischi per l'Italia.

Come aveva già fatto in un celebre e controverso discorso pronunciato alla Camera nel 1993, anche negli interventi riuniti nel volume (tutti apparsi nella seconda metà dei Novanta), Craxi non nega che il flusso di denaro verso i partiti sia stato frutto di illegalità. Ma tutti, aggiunge, ne erano a conoscenza e ne beneficiavano. Mentre le indagini della magistratura, attacca, sono andate in un'unica direzione grazie al sostegno di poteri forti senza nome. «Si ricorre in un vizio che è antico come il mondo, ricercare capri espiatori mentre le menzogne prendono il posto della verità. - conclude su questo punto - Si è imboccata la via di una giustizia spettacolo dalla quale possono derivare un'infinità di ingiustizie, dalla quale non possono emergere tutte le verità che dovrebbero emergere».

Preoccupazioni di carattere personale per le inchieste che lo coinvolgevano? Decisamente no, risponde il curatore nella sua nota introduttiva. Le analisi di Craxi erano di natura politica e riguardavano i mutamenti che avevano luogo nel paese dopo il terremoto di Tangentopoli, quando il vecchio sistema era crollato in pochi mesi e ai vertici del potere erano stati chiamati i tecnici non eletti dai cittadini. A giudizio di Craxi, questo equivale alla “dispersione della sovranità popolare” e all'esaurimento della forza propulsiva espressa dalle leadership partitiche. E se la politica, pur con le sue brutture e convenienze, è «un'arte umana piena di fascino e di nobiltà», gli appare difficile rassegnarsi all'idea che non riesca più a convertirsi in un'azione di governo in grado di misurarsi con i problemi concreti".

Ai protagonisti, vecchi e nuovi, della fase che si stava aprendo il leader socialista in esilio riserva giudizi spesso taglienti. In parte assolve l'amico Berlusconi pur definendolo “un ingenuo” incapace di capire sin dal 1994 che la “giustizia politica” vuole metterlo sotto accusa con la complicità del Presidente Scalfaro ritratto come «un residuato dell'antico sistema, un sepolcro imbiancato, ipocrita d'animo e baciapile di stile burocratico».

Afferma quindi senza incertezze che la caduta del primo esecutivo Berlusconi è frutto di un preciso disegno e non risparmia frecciate ironiche all'indirizzo dei postcomunisti che hanno portato Prodi a Palazzo Chigi. «. La Quercia si è messa all'ombra di un Ulivo che produce olio di una qualità non convincente» chiosa lapidario.

Per i protagonisti della Seconda Repubblica, Berlusconi escluso, ha parole di disprezzo e si dice certo che, a differenza di quanto pensano milioni di persone, «da loro non verrà mai nessun rinnovamento» perché si tratta di reazionari capaci di farsi passare per innovatori. Tra i bersagli preferiti c'è l'antico collaboratore Giuliano Amato, “un genio elettronico di opportunismo”, abile nel non farsi coinvolgere dalle inchieste nonostante abbia a lungo ricoperto l'incarico di vicesegretario del partito socialista. «Figuriamoci se con questo ruolo non era al corrente delle spese e delle entrate del partito», commenta.

Altrettanto critico si mostra nei confronti di Massimo D'Alema, «che ama vestire i panni dell'innovatore senza macchia e senza paura, nonostante sia nato e cresciuto nel Pci e sia andato in Urss 25 volte». Alla Prima Repubblica non apparteneva invece Bossi, il quale però «del Nord se ne frega anche se ha aperto un ufficio di rappresentanza della Padania a Roma».

E Fini? «Un inventore di teorie che non stanno in piedi», la cui linea politica è «prendere le distanze da Berlusconi» sperando, prima o poi, di poterlo sostituire alla guida del centrodestra. È contro Romano Prodi che lancia le bordate più pesanti. Dopo aver sostenuto che, alla guida dell'Iri, «ha servito male l'interesse pubblico come dimostra ogni ricostruzione non di parte della sua carriera, affonda i colpi: «Il signor Prodi come leader politico non è altro che il classico bidone. In veste di leader politico del centrosinistra addirittura un imbroglio vero e proprio».

Assai poco lo convincono le scelte compiute in ambito Ue, visto che si dichiara «non un euroscettico ma piuttosto un europessimista» a causa dei vincoli troppo stretti imposti dal trattato di Maastricht prima del varo della moneta unica. Il risultato di quegli accordi, commenta, non sarà una crescita comune ma un futuro pieno di rischi, in particolare per l'Italia. «Ciò che si profila - scrive - è un'Europa in preda alla disoccupazione e alla conflittualità sociale. Lo hanno compreso diversi paesi che si apprestano a prendere le distanze da un progetto congeniato in modo non più corrispondente alla concreta realtà delle economie». Una possibile soluzione? Rinegoziare il trattato, secondo Craxi. Servirebbe coraggio, aggiunge, ma a Roma maggioranza e opposizione non ne hanno. Con il risultato che prima o poi i nodi verranno al pettine, «anche a causa di scontro sociali duri come pietre».

Nel ricostruire la sua avventura politica dall'esilio Craxi alterna i toni della rabbia verso chi lo ha tradito e la speranza di un suo ritorno sulla scena politica nella quale, comunque, non crede sino in fondo. Lo indigna, in particolare, che una parte del vecchio sistema sia riuscito a sopravvivere agitando la bandiera del nuovo. E su di sé conclude: «Non conosco la felicità. La mia vita è stata una corsa a ostacoli e non mi sono mai fermato per dire a me stesso ora sei un uomo felice».

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