Cottur e la volata all’Ippodromo da solo per l’italianità di Trieste
TRIESTE Tanti triestini hanno avuto la ventura, e la fortuna, di farsi consigliare la bicicletta più adatta da un signore che per tre volte aveva guadagnato il terzo posto al Giro d’Italia, che per quattordici giorni aveva vestito la maglia rosa, che per tre volte aveva partecipato al Tour de France conquistando il miglior posto nel 1948, l’ottavo. Nel suo negozio di via Crispi, Giordano Cottur, illustrava la qualità delle due ruote con sorriso e ironia, senza mai tirarsela. Dodici anni di carriera da professionista, dal 1938 al 1950, un palmares di tutto riguardo, che sarebbe stato ancora più ricco se ai suoi tempi non se la fosse dovuta vedere con due “pellegrini”, come li chiamava lui, al secolo Coppi e Bartali. Ma nell’immaginario triestino, il campione Cottur è rimasto legato a un episodio ancora più clamoroso di un posto sul podio al Giro d’Italia, perchè tocca nel profondo l’anima di queste terre e scava in ferite della Storia ancora aperte e controverse. È il giugno 1946 quando lo scalatore Cottur, divorando la rampa di via Rossetti, taglia il traguardo all’ippodromo di Montebello tra il tripudio della folla. Trieste è contesa tra Italia e Jugoslavia e molti temono che il Giro, arrivando nella città amministrata dagli anglo-americani e rivendicata da Tito, tiri la volata alla causa dell’italianità. A Pieris la corsa viene fermata dai manifestanti filo jugoslavi a colpi di sassi sui ciclisti, seguiti dagli spari della polizia civile. Coppi e Bartali si rifugiano in un fosso, ma Cottur, che veste la maglia rossa e l’alabarda della Wilier Triestina, non ne vuole sapere di interrompere la gara prima della tappa nella sua città.
Allo sportivo e all’uomo, prima tenace grimpeur, poi direttore sportivo e infaticabile organizzatore di eventi ciclistici, è dedicato uno degli approfondimenti del Piccololibri, domani in edicola con il quotidiano all’interno di Tuttolibri della Stampa, che arricchisce di sette pagine su storie, personaggi, libri legati a Trieste, Gorizia e Monfalcone.
Il paginone centrale dello sfoglio ci riporta ancora agli anni Quaranta, al 28 gennaio 1941, quando in piena guerra arrivò al Teatro Verdi, per la prima e unica volta, il più grande direttore di tutti i tempi, Wilhelm Furtwängler, alla guida dei Berliner Philharmoniker. Le splendide immagini della collezione de Henriquez raccontano l’atmosfera del concerto, durante il quale si esibì lo stesso Furtwängler al pianoforte nel quinto concerto brandeburghese di Bach, e il ricevimento in municipio che venne offerto agli ospiti, a serata conclusa, dal podestà Ruzzier, cui parteciparono molti rappresentanti della “colonia nazista” di Trieste, come si legge nelle colonne del Corriere di Trieste. Furtwängler ringrazia le autorità, dicendosi lieto che la sua missione artistica “serva a vieppiù stringere i fraterni rapporti dei popoli dell’Asse”, mentre gli onori di casa vengono fatti dalla signora Romana Ruzzier, dalla consorte del prefetto e da una “eletta schiera di signore e signorine”, rigorosamente in total black. Quella italiana fu l’ultima tournée del maestro prima della fine della guerra. Dopo aver subito il processo di “denazificazione”, da cui uscì assolto, Furtwängler riprese la sua attività da Roma nel 1947, ma a Trieste non tornò più.
Alla musica è legata anche la copertina del Piccololibri, che racconta pagine inedite sui legami tra Beethoven e Trieste. Potrebbe essere nata proprio in città nel 1784 (ma secondo altri in Polonia) la contessina Giulietta Guicciardi, cui il compositore dedicò uno dei suoi capolavori, la sonata “Al chiaro di luna”. La famiglia Guicciardi è sicuramente a Trieste nel 1796, quando il capofamiglia, Francesco Giuseppe, diventa direttore della Cancelleria e interviene, con suggerimenti tecnici, nella costruzione del teatro Verdi. In seguito, i Guicciardi si trasferiscono a Vienna, dove Giulietta diventa allieva di Beethoven, già afflitto da problemi di sordità. Lui si innamora dell’allieva e vagheggia di sposarla, ma lei non lo ricambia e finisce intrappolata in un matrimonio infelice con un musicista modesto, di nobile casata austriaca, Wenzel Robert von Gallenberg, che sperpera il patrimonio familiare. Beethoven a Vienna si serve da “Zur Stadt Triest”, negozio di delicatessen, vini e coloniali e in uno dei suoi “Quaderni di Conversazione” medita una puntata da queste parti per gustare ostriche e bere Picolit.
Com’è possibile che un sacco a pelo triestino, del celebre negozio Mitis di via San Lazzaro (“sacchi letto in piuma per militari, alpinisti e sciatori”, come recita la pubblicità) sia finito a riscaldare, negli anni ’30 del Novecento, l’antropologo fiorentino Fosco Maraini? Gliel’avrà consigliato l’amico Emilio Comici, astro dell’arrampicata tecnica, o l’amica campionessa di nuoto Elena Schott? Un intreccio di legami, sport, avventure e viaggi tutto da scoprire.
Riproduzione riservata © Il Piccolo