«Così sono diventato Stephen Hawking»

TORINO. Era un giovane studente di storia dell'arte a Cambridge, Eddie Redmayne, e gli capitava di incrociare l’astrofisico Stephen Hawking nel campus, stupendosi del carisma e del seguito straordinario che godeva quell'uomo tra studenti e appassionati, neanche fosse una rockstar. Niente avrebbe potuto fargli immaginare che, una decina d'anni dopo, la sua carriera d'attore l'avrebbe portato a interpretare Hawking in un film, “La teoria del tutto”, che gli regala ora un ruolo che lo proietta dritto dritto tra i papabili all'Oscar 2015 per la migliore performance maschile.
Più giovane d'aspetto dei suoi 32 anni, l'attore londinese ha portato ieri il suo glamour british dritto al cuore del Torino Film Festival, dove ha presentato la pellicola firmata dal premio Oscar - per il documentario “Man on Wire” - James Marsh e ricevuto in serata il Premio Maserati Torino.
“La teoria del tutto”, tratto dal romanzo “Travelling to infinity: my life with Stephen” dell'ex moglie di Hawking, Jane - che ha le sembianze di Felicity Jones - ha la forma del biopic più classico, anche se a tratti un po' ruffiano, nel raccontare il genio, il matrimonio, la malattia e, su tutto, l'ostinata voglia di vivere e ideare. Su una cosa però sono tutti d'accordo: l'interpretazione di Redmayne va a segno, intensa e solida com'è, e non avrebbe difficoltà a spiccare il volo per le nominations come miglior attore protagonista, tra il Michael Keaton attore in disgrazia in “Birdman” di Inarritu e, per “The Imitation Game”, il matematico Alan Turing di Benedict Cumberbatch che curiosamente ha rivestito, dieci anni orsono, la prima incarnazione cinematografica dell'astrofisico nel film tv della BBC “Hawking”.
Di parlare della corsa verso la magica statuetta, però, Redmayne non ne vuole sapere. «Sono voci che corrono, quindi è il caso di non ascoltare, perchè alla fine sono qualcosa di effimero e non contano. Staremo a vedere». Fatto sta che Hawking e famiglia hanno apprezzato e dato la loro benedizione. «Dopo il primo momento di felicità, è iniziata la paura per la complessità del ruolo» ha raccontato invece l'attore quanto alla genesi del film, preparandosi dapprima incontrando una quarantina di malati di SLA, la cui affezione definisce «una prigione le cui pareti si restringono ogni momento di più», in seguito studiando movimenti con una coreografa per mesi, quindi sottoponendosi ad un particolare addestramento muscolare per sostenere le particolari posizioni cui sarebbe stato costretto ad assumere.
Federica Gregori
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