Così nel 1970 l’Urss decise di cancellare Hitler «Trovate, bruciate e disperdete quel cadavere»

Cinquant’anni fa la missione a Magdeburgo per conservare il mistero voluto da Stalin. Una storia vera rimasta nell’ombra
LIFE correspondent Percy Knauth sifting through the dirt & debris in the shallow shell hole where the bodies of Hitler and Eva Braun were thought to have been burned after their suicides, in the garden of the Reichstag. (Photo by William Vandivert/The LIFE Picture Collection via Getty Images)
LIFE correspondent Percy Knauth sifting through the dirt & debris in the shallow shell hole where the bodies of Hitler and Eva Braun were thought to have been burned after their suicides, in the garden of the Reichstag. (Photo by William Vandivert/The LIFE Picture Collection via Getty Images)

Nicolai Lilin

Adolf Hitler era morto e doveva essere accompagnato nell’Aldilà insieme ai suoi più intimi e fedeli seguaci. Doveva essere arso tra le fiamme come un konung norreno, in un eterno falò funebre. Così immaginava lui stesso, nella sua mente devastata dall’odio, dalle anfetamine e dalla sconfitta assoluta. Sognava di rendere immortale la sua esistenza e introvabile il suo cadavere.

Ma davvero nessuno lo ha mai ritrovato?

Le spoglie di Hitler, per decenni, sono state oggetto di molte speculazioni. Si ipotizzavano improbabili sepolture; amanti della fantascienza sostenevano che il suo cervello fosse stato portato in salvo per essere clonato. In molti continuarono a credere che avesse organizzato la messinscena del suicidio, facendo uccidere un sosia e riuscendo invece a fuggire. Tutto questo andava bene anche ai sovietici.

Nella primavera del 1970, esattamente 50 anni fa, però, questo equilibrio si spezza. I capi dell’Urss decidono di smuovere il terreno e di cercare quella salma. Secondo i loro cartigli segreti, il corpo di Hitler era custodito, insieme ai resti di Eva Braun e della famiglia Goebbels, in casse di artiglieria sepolte dall’Armata Rossa in un terreno sperduto in Germania. Così ordinano di recuperare quelle spoglie e di bruciarle, disperderle per sempre, «senza che ne resti traccia».

Una squadra speciale del Kgb va quindi a caccia di quei cadaveri. È una storia vera e complicata, che, grazie al giornalista del Secolo XIX, Giovanni Mari, diventa una storia per tutti con “Klausener Strasse” (Minerva, pagg. 250 pagine, euro 16,90), che prende il nome dalla strada della presunta sepoltura. Le spie comuniste, sciolta una marea di dubbi, studiate le autopsie e allestito un meticoloso piano di intervento, si immergono nella missione tra mappe cifrate, grossolani errori, umane pigrizie e coperture.

Sulle loro teste scorre l’Europa dei primi Anni Settanta, avvinghiata alle nevralgie della Guerra Fredda, paralizzata nel passaggio del Secolo Breve, sospesa tra il Vietnam e i Beatles, tra Stalin e Gorbaciov. Ancora voltata indietro e già inconsapevolmente proiettata in avanti; specie per un’Italia in perenne difficoltà.

La lettura di “Klausener Strasse” permette di scoprire alcuni fatti storici rimasti incredibilmente ignoti alla stragrande maggioranza dell’opinione pubblica. Ma lo fa con la docilità di un romanzo storico. Serpeggiando tra gli intrighi dei Servizi di diversi Paesi si accede a documenti rimasti per più di mezzo secolo negli archivi più protetti del Mondo, accompagnando la scrupolosa e dettagliata ricostruzione degli eventi legati alla ricerca della salma del Führer. E scommettendo sulla buona o cattiva riuscita della missione: ritrovare e distruggere quel corpo. Mentre la sfida tra le potenze mondiali prosegue tra immagini forti o sconosciute.

“Klausener Strasse” è anche un tentativo di ribadire la completa mortalità del dittatore, del male che propagandava. Contribuendo a smitizzare e smaltire quelle tracce residue di fanatismo rimaste sulla Terra dopo il suo orrendo transito. D’altra parte, se è vero che una delle nostre grandi diversità evolutive è la consapevolezza della mortalità, Hitler non vi poteva sopravvivere. Infatti: di certo la figura del dittatore è fondamentale, perché incarna quell’immortalità dell’idea in cui tutti credono ciecamente. Ma alla fine, come è ovvio e come è sempre stato, prevale sempre il trapasso.

I sovietici, nel 1970, avevano deciso di andare a tirar fuori quel cadavere dall’Abisso della Storia: non per renderlo pubblico, ma per nasconderlo sempre di più. Questo era il piano. “Klausener Strasse”, attraverso i serrati dialoghi degli agenti, racconta come, solo 50 anni fa, quando sgorgava la cultura che ha plasmato il nostro tempo, l’Urss aveva immaginato di cambiare la Storia del Terzo Reich: conservandola esattamente come era stata tramandata dallo squarcio nel bunker di Berlino. —



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