Così finirono i Lehman l’ascesa e la caduta degli Dei di Wall Street

di Federica Manzon «Il nostro obiettivo è un pianeta Terra in cui non si compri più nulla per bisogno ma si compri per istinto. Solo allora le banche, signori, diventeranno immortali». Così si parla...
Di Federica Manzon

di Federica Manzon

«Il nostro obiettivo è un pianeta Terra in cui non si compri più nulla per bisogno ma si compri per istinto. Solo allora le banche, signori, diventeranno immortali». Così si parla attorno alla tavola del lunch del lunedì, all'ottavo piano di One William Street, mentre Bobbie Lehman a capotavola sorride. È la dichiarazione di un grande sogno - I have a dream, l'immortalità - o è il primo campanello che annuncia la catastrofe?

Queste parole stanno al centro del testo di Stefano Massini, "Lehman Trilogy" (Einaudi, pp. 332, 17,50 euro). Uno scritto teatrale che si legge come un romanzo, di gran lunga più interessante di molta narrativa italiana. Un testo che da oggi fino al 15 marzo sarà al Piccolo Teatro di Milano per la regia di Luca Ronconi. Giorni intensi per l'autore, che vede in scena anche il suo recentissimo "7 minuti" (Einaudi, pp. 74, 10 euro) al debutto domani al Politeama Rossetti con la regia di Alessandro Gassmann.

Due storie che sembrano lontane nell'ideazione e nella geografia: da una parte centossessant'anni di storia del capitalismo internazionale visti dall'America profonda e rampante, dall'altra le ore delle decisioni nel consiglio di fabbrica di un'azienda tessile francese. Ad accomunarle è lo sguardo dell'autore, la sua capacità di dar voce alla contemporaneità senza nessun filtro ideologico, «l'impegno secondo me è la morte del teatro» dichiara, lasciando poi che un senso (ma non una morale) emerga dalla storia raccontata, dai personaggi che entrano in scena.

Per primi i fratelli Lehman, ebrei ortodossi tedeschi che sbarcano nella New York dell'età dell'oro: Henry, la testa, Emanuel, il braccio, e Mayer, la patata. Da quei primi passi è un'ascesa sfavillante. Non c'è guerra, carestia, crisi che i discendenti Lehman non sappiano trasformare in un'occasione. Dopo la stoffa, il carbone e il ferro, si arriva a perdifiato a Wall Street. A Philip e Bobbie che credono nel potere dell'intrattenimento, delle televisioni e dei computer, e amano la nuovissima New York dove si governano le parole e non si muove un dito. Dove si gioca sempre a tennis e nel tennis, si sa, la pallina deve sempre stare in gioco, sempre in alto, sempre in aria, non deve mai cadere fuori campo.

Il mondo esoterico dell'economia non è mai stato così affascinante e comprensibile, come nelle pagine di Massini. «Non è soltanto la storia della fine di una banca - spiega - ma di un intero sistema di valori occidentali. Io credo che il capitalismo si sia convinto di essere immortale soprattutto dopo la caduta del Muro di Berlino. Il crollo così rumoroso di quello che era stato il miraggio del proletariato ha comportato secondo me una sorta di fiero, orgoglioso imbaldanzimento del capitalismo, che ha creduto di essere l'unico sopravvissuto tra i due termini in lotta». La caduta di Lehman Brothers si illumina quindi di implicazioni simboliche, diventa il Muro di Berlino del capitalismo. Non a caso, di quel terribile weekend che portò alla caduta degli Dei di Wall Street, quei colossi bancari considerati troppo grandi per fallire. , rimane leggendaria la frase di uno dei più grandi finanzieri del pianeta, George Soros, che dichiarò: «Beh, da oggi tutto il mondo sa che il gioco si è rotto».

"Lehman Trilogy" tuttavia non è solo una storia di caduta, ma è prima di tutto la cronaca della magnetica ascesa di una famiglia e di un paese. Attraversando i decenni, Massini ci mostra il mutamento antropologico che accompagna quello economico e culturale. «Durante tutto il ’900 - osserva - abbiamo assistito senza rendercene conto a una graduale evoluzione verso una sempre più marcata distanza dalla materia». Mentre Emanuel e i suoi fratelli sognavano imperi di cotone e caffé, mentre Philip Lehman si lanciava in Borsa inseguendo treni e cherosene, Bobbie sogna il lusso, cartelloni pubblicitari, bandiere della Coca Cola. E così a precipizio fino a Peterson e Glucksman, il greco e l'ungherese, il banchiere perfetto e il trader d'assalto che producono denaro per finanziare altro denaro. «Siamo davanti a una progressiva spersonalizzazione, dematerializzazione delle cose concrete. Del lavoro prima di tutto», commenta ancora Massini. «Basti pensare a quanti mestieri negli ultimi anni hanno cambiato nome, a partire da spazzino-operatore ecologico. Questo tipo di meccanismo che tende alla virtualità sta dentro l'evoluzione dell'economia capitalistica, ma sembra arrivato a un punto tale da far perdere alla società quelle connessioni basiche per cui qualsiasi causa crea un effetto». Ed è incredibile pensare come Lawrence McDonald, il vice presidente di Lehman Brohers, all'indomani del fallimento abbia potuto dichiarare con il massimo candore che né lui né il consiglio di amministrazione avevano la più pallida idea di quanto fosse indebitata la banca.

Stiamo quindi scivolando lungo una china senza ritorno? Non esattamente, ma se oggi abbiamo dovuto coniare una nuova parola come "resilienza" per dire la semplice capacità di riscatto, di rialzarsi dopo una crisi, beh forse vuol dire che qualcosa è cambiato. «Per molto tempo si è pensato che tutto dovesse sempre cooperare verso il bene, il sorriso, la serenità. È la ragione per cui dalle opere moderne, dal cinema, televisione è fondamentalmente bandito il tema della malattia e della morte. Tutto deve essere sorridente, positivo. Ma la positività non può essere eterna, imperitura, costante, altrimenti non è positività ma imbecillità. La positività nasce dalla reazione al negativo».

La capacità di riscatto dai problemi è parte della storia di Lehman Brothers, così come lo è la battagliera fiducia delle donne di "7 minuti" che non intendono cedere sui propri diritti. Colpisce nei lavori Massini l'ambientazione estera, come ci fosse una sorta di resistenza a raccontare l'Italia. «Non sono attratto né interessato, per lo meno fino ad ora, da niente che abbia a che fare con il mio paese. La mia non è esterofilia, il punto è che preferisco andare a cercare delle storie in cui gli italiani possano rispecchiarsi senza auto assolversi come fanno sempre, sorridendo dei propri baratri». "Lehman Trilogy" ha attirato l'attenzione di molti lettori, non solo del mondo teatrale. Forse, viene da pensare, perché fa una cosa semplicissima e rara: restituisce al teatro il suo potere specifico, non di rito per alta borghesia abbonata ai teatri, «ma di luogo deputato più di ogni altro alla dissezione del reale, della nostra fragile e poco consolante contemporaneità».

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