Con le perle di Venezia gli europei riuscirono a comprare Manhattan

Al Museo di Murano un’esposizione ripercorre  la storia dei manufatti usati come merce di scambio
Si deve a una donna, figlia di uno dei più famosi maestri vetrai muranesi, Marina Barovier, l’invenzione della perla di vetro forse più diffusa al mondo: la “rosetta”. Unica nel suo genere, questa perla, molata da canna forata, simile a un fiore colorato e inizialmente destinata alla composizione dei rosari, fu creata verso la fine del XV secolo sovrapponendo l’uno sull’altro ben 7 strati di vetro di diversi colori e sagomando a stella per mezzo di stampi ogni strato: molando poi i bordi appare una corolla di denti appuntiti di vario colore. Protagonista delle prime esportazioni di perle nel Nuovo Mondo e in Africa tra la fine del 1400 e gli inizi del 1500 la perla rosetta, conosciuta in tutto il mondo del collezionismo come Chevron, è l’antesignana delle perle di scambio, considerate alla stregua del denaro, ed è quella che ancor oggi viene sfoggiata dalle popolazioni africane in occasione di cerimonie importanti.


Alla perla di vetro veneziana in tutte le sue declinazioni storiche e contemporanee, straordinario concentrato di tecnica e inventiva, piccolo e prezioso manufatto che accompagna da sempre la storia del vetro è dedicata la mostra “Il mondo in una perla” allestita negli spazi delle ex Conterie del Museo del Vetro di Murano fino 15 aprile 2018. Summa di un complesso lavoro di studio delle collezioni del Museo muranese ad opera di Augusto Panini, uno dei maggiori esperti del settore, la mostra sintetizza i risultati del primo dettagliato catalogo realizzato dopo la scomparsa nel 1912 dell’inventario redatto dall’abate Zanetti, fondatore del museo e della scuola del vetro di Murano.


Perle Europa, perle Africa, perle a lume, perle a mosaico, soffiate, sommerse, a occhi, a spirale, a bandiera, monocrome, piumate, puntinate, sinusoidali, a pettine, incamiciate, figurate, a inserzioni di murrine o ancora le celebri conterie, le margarite e le millefiori: un universo di colori e tecniche concentrato a volte i soli pochi millimetri per un oggetto di decoro e bellezza con il quale Venezia ha conquistato il mondo. Non a caso si narra che in cambio di perle di vetro i nativi d’America accettarono di cedere il territorio che oggi conosciamo come Manhattan.


Risale al 1298 l’istituzione della “mariegola dei paternostreri”, ovvero l’insieme delle regole (mariegola: da mater regulae) che normavano l’attività dei fabbricanti di perle, a quell’epoca chiamati paternostreri in quanto dediti soprattutto alla produzione di perle per grani da rosario.


Una delle prime tecniche impiegate fu quella “a speo”: utilizzando una piccola quantità di vetro fuso e un ago di ferro (speo o spiedo), che si faceva girare al fuoco di un lume, si realizzava una perla forata. Ma la tecnica che divenne prevalente nei secoli successivi fu quella della fabbricazione delle perle a partire da bacchette o canne di vetro forate o massicce.


Furono i grandi viaggi di esplorazione del XV secolo a dare forte impulso alla produzione e alla esportazione delle perle veneziane. Dall’inizio del ’500 fino alla fine della prima guerra mondiale quantità imponenti di perle di vetro hanno così percorso i continenti per essere scambiate in Africa Occidentale e in America del Nord con materiali come l’oro, l’argento, l’olio di palma e il carbone.


Dopo il Rinascimento il nuovo grande exploit delle perle di vetro veneziane in epoca moderna si attesta nel XIX secolo, quando furono esportate in colossali quantità in tutte le colonie dell’Africa Occidentale, dell’India e delle Americhe. In particolare tra il 1882 e il 1888 le cronache muranasi registrano una straordinaria commessa: 251.000 perle rosetta di varie dimensioni. Una quantità enorme che diede nuovo impulso alla produzione delle vetrerie. «Il Museo del Vetro – spiega la direttrice Chiara Squarcina - fra i suoi innumerevoli tesori custodisce un importante nucleo di perle a lume, la cui lavorazione parte da canne di vetro massicce, non forate, dal diametro di pochi millimetri e tagliate della lunghezza di 1 metro, la cui estremità viene riscaldata con una fiamma e il vetro viene fatto colare intorno a un tubicino di rame che verrà poi sciolto in acido lasciando al suo posto la perforazione. Nelle nostre collezioni troviamo in particolare quelle che sembrano essere le prime perle millefiori prodotte in epoca moderna, presumibilmente tra il 1843 e il 1845. In nessun campionario antecedente di altri musei europei o americani risultano infatti perle millefiori, che inventate in epoca alessandrina e romana, dopo la caduta dell’impero Romano d’Occidente continuarono ad essere prodotte fino al XV secolo in Medio e Vicino Oriente». “Il mondo in una perla” è un omaggio a un universo artigiano e artistico con una grande anima femminile. Diffusissimo a Venezia era infatti il mestiere delle “impiraresse”, le donne che con in grembo la sessola (una sorta di vassoio di legno) colma di perline vi immergevano fino a quaranta lunghi aghi in una volta per formare più rapidamente possibile lunghissimi fili o collane per la vendita.


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