Con la Legione straniera alla guerra in Vietnam i soldati di sventura che l’Europa non voleva

Storie di mercenari italiani che negli anni Cinquanta furono mandati in Indocina. Le racconta Luca Fregona



È morto a Spilimbergo due mesi fa Derino Zecchini, uno degli italiani che hanno combattuto in Vietnam. Ma non nella guerra del Vietnam ‘americano’, di ‘Apocalypse now’ e dei ragazzi che amavano i Beatles e i Rolling Stones. Il suo è stato il Vietnam dimenticato, quello degli anni Cinquanta, che segnò l’inizio della fine del colonialismo. Allora si chiamava guerra di Indocina, territorio francese. In Europa la seconda guerra era appena finita e nessuno aveva voglia di combattere ancora. Nessuno tranne chi non aveva nulla da guadagnare dalla fine del conflitto. Quelli che avevano perso, nazisti tedeschi, fascisti italiani, gente che sapeva che l’Europa libera l’avrebbe accolta come criminali. Per loro non c’era posto nel nuovo ordine democratico. Così scelsero la Legione straniera. Rifugio dei peccatori, cloaca umana, la Legione rappresentava l’unica via d’uscita per chi aveva bruciato la sua vita. La Francia accoglieva a braccia aperte questi reietti, li mandava a morire a posto dei loro ragazzi tra il fango e le paludi del sud est asiatico. Ma non solo fascisti. Tra loro c’erano anche emigranti che facevano la fame in Francia. E pure ex partigiani come Derino che, dopo aver combattuto con la brigata Garibaldi si era arruolato nella Legione e, una volta in Vietnam, aveva disertato per passare con Ho Chi Minh a combattere per il comunismo. La sua testimonianza è stata raccolta e riprodotta in 'Asce di guerra', il libro scritto dal collettivo Wu Ming insieme a Vitaliano Ravagli, un romagnolo che aveva combattuto con i Pathet Lao, l’equivalente laotiano dei Viet Minh. Ma ce ne sono stati tanti altri.

Un mondo sommerso fatto di settemila italiani che hanno combattuto con il corpo di spedizione francese; 1300 sono morti in azione, altre centinaia sono rimasti mutilati o hanno riportato traumi psicologici gravissimi. Altri sono sopravvissuti alla prigionia nei campi viet. Il giornalista Luca Fregona ha ricordato le storie di tre di loro in ‘Soldati di sventura’, un libro (Athesia Verlag, 272 pagg., 12,90 euro) nel quale ha ripercorso le vite di Beniamino Leoni, Emil Stocker e Rodolfo Altadonna.

Vite incredibili come quella di Beniamino, che al momento dell’armistizio del ‘43 si trova in Grecia. I tedeschi lo catturano e lo spediscono in Germania, dove gli chiedono se vuole passare con loro. Lui accetta, spinto dalla fame, e diventa un SS. Lo mandano a Buchenwald, dove sente l’odore dei forni crematori e vede Mafalda di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele, ferita a morte da un bombardamento. Trasferito in Italia butta la divisa e si unisce ai partigiani, viene ferito alla schiena, si salva. Finita la guerra cerca lavoro in Francia, fa il minatore, vita grama, e allora, come fanno in tanti, sceglie la Legione. Cinque anni di ferma, e alla fine, gli dicono, la cittadinanza francese. Se sopravvivi. Addestramento durissimo in Algeria, e poi il Vietnam. Catturato, decide di passare con loro. La guerra finisce e Beniamino cerca di raggiungere la Cina per tornare in Italia. Questa volta lo catturano i cinesi e lo consegnano ai francesi, che vogliono processarlo come disertore. Se la cava, e alla fine torna a casa, in Trentino.

Emil invece è nato per fare il soldato. Suo padre è un poliziotto di Merano che, dopo il 1918, non accetta di sentirsi suddito italiano, così appena può manda il figlio in Germania. A dieci anni Emil entra nella Hitlerjugend. Ne ha quattordici quando la guerra è finita. La Germania ha perso, lui ha perso e il mondo che ha attorno non gli piace. L’unica soluzione è la Legione. Altre armi, altre guerre. Quella guerra che, aveva detto Beniamino, “lascia addosso un odore che non va più via, di merda, paura e sangue”. Quell’odore Emil lo conosce bene. Lo accompagna in Vietnam, dove è sergente e può fotografare liberamente. Il libro è ricco di foto: quando Fregona lo incontra, Emil ha il basco di legionario in testa e due album sotto il braccio. Emil è morto un anno fa, portato via dal Covid, a oltre novant’anni. —

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