Con “Faith” Valentina Pedicini racconta i Guerrieri della Luce

Rivedere “Faith” a neppure due mesi dalla prematura scomparsa di Valentina Pedicini, portata via da un male incurabile a soli 42 anni, è un’esperienza dolorosa e rivelatrice. Alla luce degli eventi, infatti, l’ultimo lavoro della regista brindisina appare quasi un testamento poetico, una dichiarazione di intenti e – a tratti – persino una premonizione. Quasi quel suo volersi caparbiamente addentrare negli spazi bui, tra le luci e le ombre dell’animo umano alla ricerca di una spiritualità laica e disperata, fosse il segnale di una vita che all’insaputa di tutti si stava troppo velocemente spegnendo, mentre la ricerca di risposte si faceva spasmodica, un inseguimento affannoso prima dell’inevitabile.
Come nel suo lungometraggio di esordio “Dal profondo”, anche quello un documentario, Pedicini si addentra nuovamente in un perimetro chiuso: là era una miniera di carbone in Sardegna, qui invece un monastero isolato tra le colline marchigiane abitato dai “Guerrieri della Luce”, un gruppo di uomini e donne di fede cristiana assieme al quale la regista ha condiviso tutto per quattro lunghi mesi. Una sorta di setta, autoreclusa, che vive una quotidianità consumata tra preghiera, arti marziali e assordante musica techno: una sfida continua per la mente e per il corpo, allenamenti massacranti e regole ferree cui sottostare per prepararsi a combattere e vincere la guerra contro il Male. I confini tra Bene e Male però a volte si sfumano, meno netti del rigoroso bianco e nero scelto dall’autrice per rendere evidenti i contrasti che albergano nella comunità, osservati con obiettività implacabile ma sempre senza giudizio. Il grande successo ottenuto da “Faith”, selezionato e premiato ai più importanti festival internazionali, confermano il talento e la sensibilità di quella che è stata una delle più promettenti, coraggiose e coerenti voci del cinema italiano. Ci mancherà.
Bea. Fio.
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