“Compagno Maresciallo Tito, portaci con te”: spuntano le lettere di chi sognava Jugoslavia

TRIESTE. C’è una lettera dimenticata da decenni nell’archivio personale di Tito, a Belgrado. È solo una fra le tante, ma è un buon punto di partenza per raccontare una storia sconosciuta del confine orientale nel dopoguerra: le missive che molti italiani della Venezia Giulia e del Friuli scrissero al maresciallo, chiedendo l’annessione al mondo comunista.
La nostra lettera è stata spedita da Muggia a fine marzo 1946 e indirizzata al capo della neonata repubblica federale. Le prime righe ricordano a Tito la durezza del conflitto appena concluso: «Compagno Maresciallo, il sangue dei figli del popolo di questa terra ha già bagnato l’erba dei nostri monti e la terra delle nostre strade. È sangue italiano e sloveno sparso assieme, perché ogni forma di fascismo e di oppressione sia abolita per sempre».
Sono mesi, quelli, in cui si sta decidendo il futuro di Trieste e del suo territorio. Scrive l’autore: «Siamo certi che avremo da voi tutto l’appoggio e tutto l’aiuto perché sia realizzata finalmente la nostra aspirazione, che è essere uniti alla Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia. Morte al fascismo! Libertà ai popoli!». La firma è del segretario politico dell’Unione antifascista italo-slava (Uais) di Muggia.
La lettera è una delle centinaia che lo storico Federico Tenca Montini ha scoperto nel 2016 a Belgrado durante le ricerche per la sua tesi di dottorato “La Jugoslavia e la questione di Trieste 1945-1954”, di prossima pubblicazione in italiano e croato. Durante le sue ricerche all’Archivio della Jugoslavia, istituto serbo che ambisce a costruire una memoria panjugoslava, lo storico ha consultato l’archivio personale di Josip Broz.
Muovendosi fra i documenti, Tenca ha intercettato fascicoli di lettere di saluto, telegrammi e risoluzioni che singoli individui, consigli di fabbrica, associazioni di donne e organizzazioni socialiste indirizzavano al maresciallo. Il materiale più interessante per il lettore delle nostre parti sono le missive che italiani del Litorale inviarono a Tito fra il 1945 e il 1947, prima che il Trattato di Pace stabilisse la nascita del Territorio libero e ponesse fine ai sogni di annessione alla Jugoslavia.
«Ne ho riprodotte alcune centinaia - dice Tenca - senza garanzia di completezza». Le più interessanti provengono dai territori non sottoposti al controllo diretto della Jugoslavia: se dall’Istria arrivavano il più delle volte grige veline in fotocopia, nelle zone rimaste in mano italiana o alleata l’ideale comunista animava slanci anche lirici, a dispetto degli anni violentissimi appena rimasti alle spalle.
Un gruppo di donne goriziane firmano di proprio pugno una lettera nel giugno del 1946. Scrivono a Tito: «Abbiamo sofferto abbastanza sotto il giogo fascista, i nostri figli sono caduti a fianco i (sic) partigiani sui monti». Proseguono: «Durante la lotta di liberazione le nostre compagne slovene, oltre a quelle che il fascismo in 25 anni ha apportato, oltre a perdere i loro figli, i loro mariti, hanno avuta distrutta la loro casa da quegli elementi che oggi liberamente circolano indisturbati per Gorizia».
Questa la conclusione: «Noi come italiane antifasciste, a fianco delle compagne slovene, lotteremo affinché si avveri un’avvenire (sic) di pace, lavoro e libertà, e siamo sempre pronte a dare ancora, finché la nostra Regione non sarà annessa alla Jugoslavja (sic), poiché là vi è libertà e giustizia».
Tito le leggeva? «Sono corrispondenze che di certo sono state sulla sua scrivania - risponde Tenca -. Ho trovato un caso più tardo, degli anni ’50, di un anziano zaratino che scrisse al maresciallo per chiedere di poter tornare nella sua città dopo essersene andato. Tito era restio ma infine intervenne per dare il via libera, anche in ragione dell’età dell’uomo».
Le lettere, spiega lo storico, si moltiplicavano nei momenti culmine delle trattative 1945-1947. Vi contribuiva la stessa Unione antifascista italo-slava: «In quegli anni improntava le sue politiche alla lotta di classe più che all’identità nazionale. Questo le fece perdere presa su alcune zone della minoranza slovena in regione, ma le diede radicamento a Monfalcone».
Anche per questo nel 1948, tramontata l’ipotesi della Settima federativa, molti operai monfalconesi scelsero di passare la Cortina di ferro, finendo incastrati nello scontro fra Tito e Stalin. Ma questa è un’altra storia.
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