Com’è scandalosa la Giuditta

di GIOVANNA PASTEGA
Chi ha paura di Giuditta II? Chi ha paura del suo fascino seduttivo e perverso? Chi trasalisce di fronte alla bianca nudità del suo corpo, delle sue mani nervose e ingioiellate che come artigli afferrano insieme alle vesti la testa appena mozzata di Oloferne? Chi si smarrisce davanti ai suoi occhi torbidi e fatali che fuggono in oceano cromatico atemporale? Una cosa è certa, quando nell'aprile 1910 fu esposta alla IX Biennale d'Arte di Venezia nella sala dedicata al padre della Secessione viennese, Gustav Klimt, l'impatto fu fortissimo. In molti si sentirono turbati di fronte alla verticalità nervosa di quest'opera, la cui forza magnetica e perversa trasforma l'eroina biblica (che nel mito originale sacrifica la propria virtù seducendo e uccidendo per salvare il proprio popolo) in una femmina fatale, in una medusa che danna senza redenzione, in una donna contemporanea consapevole della propria sessualità che rifiuta ogni marginalità sociale e per questo discende nel buio dell'inferno come nel buio dell'inconscio, scoprendo grazie a Freud le proprie più intime pulsioni e le verità nascoste di una società in rapido e tumultuoso cambiamento. Un dipinto senza dubbio dirompente, capace come pochi all'epoca di spiazzare pubblico e critica e che - forse per questo - fu acquisito dal Municipio di Venezia per il Museo d'Arte Moderna di Ca' Pesaro dove ancora oggi è conservato.
Al centro l'anno scorso di una forte polemica su scala nazionale per una boutade del sindaco di Venezia Brugnaro che ne aveva annunciato la vendita per rimpinguare le casse comunali, ora la Giuditta II di Klimt è diventata il perno di una mostra curata da Gabriella Belli, direttrice dei Musei Civici veneziani, intitolata "Attorno a Klimt. Giuditta, eroismo e seduzione", che fino al 5 marzo resterà aperta al Centro Candiani di Mestre. E se Brugnaro, presente all'inaugurazione, esorcizza le sue passate (si spera) intenzioni di vendita dello straordinario capolavoro secessionista con una battuta - «Ho voluto questa mostra perché così le quotazioni della Giuditta saliranno ancora di più e potrò venderla all'asta ancora più cara…» -, Gabriella Belli apre con questa esposizione un ciclo di appuntamenti dedicati all'arte moderna e contemporanea dal titolo "Cortocircuito. Dialogo tra i secoli" con lo scopo, affidatale proprio dal sindaco, di proporre e valorizzare anche in terraferma il ricco patrimonio artistico del Muve.
Nel suggestivo allestimento dello scenografo Luca Pizzi è la Giuditta di Klimt a costituire il centro visivo della mostra: collocata in una sorta di cannocchiale ottico come snodo tra le varie sale, sembra voler essere al contempo pietra di paragone e lente di ingrandimento degli altri capolavori raccolti. Il mito archetipale di Giuditta e Oloferne e le sue suggestioni attraverso i secoli disegnano un percorso in cui spiccano preziose bibbie, placchette bronzee cinquecentesche, raffinati oggetti con l'effige dell'eroina giudea, incisioni e acqueforti del '600 e '700 e soprattutto dipinti di varie epoche, tra cui alcuni capolavori di Amigoni, Carena, Munch, Valotton, Fortuny, Schiele, Zecchin, per arrivare poi alla contemporaneità con l'ironia ricercata e teatrale dei lavori di Rocco Normanno, Giuseppe Zanoni e Sarah Lucas. «La mostra - spiega Gabriella Belli - affronta temi potenti come il rapporto tra uomo e donna e tra Eros e Thanatos, ma anche gli stereotipi femminili e il difficile cammino verso l'emancipazione, prendendo spunto anche da altre figure mitologiche e icone femminili: Leda e il Cigno, Vanitas, Salomè, Danae e le Sfingi». Senza dubbio Giuditta II è un'opera rivoluzionaria che va ben oltre la prima versione dipinta dall'artista otto anni prima. Il mito dell'eroina ebrea, dopo infinite versioni iconografiche susseguitesi nei secoli, sembra approdare nell'opera di Klimt passando attraverso il fitto setaccio della psicoanalisi, rimodellandosi ad immagine e somiglianza di un demone-archetipo. Feticcio, simulacro, tabù della società contemporanea, la Giuditta di Klimt è un eterno femminino, che spaventa e ammalia, partorito e poi consacrato in una sorta di esorcismo collettivo dal secolo del "naufragio esistenziale" e del "male di vivere".
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