Cinquant’anni prima di Joyce arrivò a Trieste il suo omonimo vestito da spia

Scrisse un libro raccontando la città. Si firmava come il futuro scrittore che ancora non era nato ma di lui non c’è traccia nei documenti e repertori. Sullo sfondo la prima guerra d’Indipendenza

TRIESTE Cinquantasette anni prima che James Joyce (1882-1941) vi mettesse piede, da un piroscafo del Lloyd proveniente da Venezia sbarcava a Trieste a fine settembre 1847 un altro, misterioso, 'J.Joyce'. Mentre dell'autore dell'Ulisse sappiamo tutto, di questo suo oscuro omonimo sappiamo poco e niente, neanche cosa nasconda l'iniziale J. Perché e come sia arrivato a Trieste, il reticente 'J. Joyce' lo racconta in un libro di 240 pagine che raccoglie memorie di un viaggio: Recollections of the Salzkammergut, Ischl, Salzburg, Bad Gastein with a Sketch of Trieste, edito nel 1850 dalla Tipografia del Lloyd Austriaco di Trieste e, ampliato, ripubblicato a Francoforte nel 1851. Dopo aver partecipato al “noioso” IX Convegno degli Scienziati Italiani a Venezia, il sedicente J. Joyce decide di far visita a un amico inglese che vive con la moglie a Trieste. Strano però che il nome 'J.Joyce' non compaia tra i 1478 partecipanti al convegno. Intanto, da visita impromptu, il soggiorno triestino si prolunga per tre anni. Prima si deve occupare della casa degli amici mentre sono via, e poi l'esplosione delle rivoluzioni del '48 che tagliano Trieste fuori dal resto d'Europa e una nuova crisi epidemica protraggono la sua permanenza a Trieste fino al 1850, con un'interruzione tra giugno e settembre 1849 quando si sposta nel Salzkammergut per sfuggire al colera.Tornato in città vi resta ancora un anno e poi va a Francoforte, lontano dal malsano scirocco triestino.

La cinquantina di pagine che 'J. Joyce' dedica a Trieste nelle sue Recollections sono veramente splendide e colgono con arguzia e precisione l’immagine di un’indaffarata città portuale nei turbinosi anni attorno al '48, tutto è descritto con brio, la vita nel Tergesteo, la Passeggiata Sant'Andrea, la Bora, i caffè, i Club esclusivi triestini, i negozi sul Corso. Tutto è descritto con occhio attento, ma J.J. si guarda bene dal rivelare dati autobiografici. Le ricerche svolte sinora da diversi studiosi non sono state in grado di dare un volto, un nome, luogo e data di nascita dell'autore delle Recollections.

J.J. si definisce un 'Englishman', ma il cognome, accenni a Dublino, l'eloquio e l'ironia suggeriscono che sia irlandese. È un gourmet, una persona colta, legge i classici e il suo 'darling' Galignani’s Messenger, giornale in lingua inglese pubblicato a Parigi e letto dagli espatriati britannici sparsi sul Continente. Ha passato la mezza età, ha una corporatura robusta. È un nomade, scapolo, ammira le belle donne, sa far bene i suoi conti, ma non rivela le sue fonti di reddito, né il suo mestiere. L'uso di aggettivi “idolatri” e “superstiziosi” riferiti ai fedeli austriaci, fa pensare a un protestante. L'assenza di ogni riscontro biografico, spinge a ipotizzare che 'J. Joyce' sia uno pseudonimo. Ma di chi? Di uno dei quindici britannici o dei quattro irlandesi partecipanti al IX Congresso degli Scienziati? Professionisti famosi le cui biografie non contemplano tre anni di soggiorno a Trieste, né viaggi nel Salzkammergut.

I convegnisti erano chimici, medici, geologi, agronomi, zoologi, fisici, biologi, botanici, geografi, vulcanologi, matematici, e non sappiamo a quale gruppo appartenesse J.J. Nondimeno scrive: «Ero a Venezia al tempo del Congresso o meeting degli Scienziati nel settembre 1847» ma aggiunge che l’unica cosa positiva era il “biglietto” riservato ai convegnisti che garantiva loro l’ingresso gratuito in tutti i musei. Per cui ammette che: «i silenziosi e vuoti saloni del Palazzo Ducale ricoprivano per me uno charme maggiore rispetto a quelli affollati e rumorosi che erano stati assegnati ai diversi Comitati.» In realtà a Venezia, durante quel Congresso, c'era una situazione politica incandescente. Il governo austriaco della città aveva concesso a tutti i partecipanti un visto d’ingresso, ma aveva anche dislocato in ogni dove nugoli di spie che stilavano rapporti quotidiani. I convegnisti erano muniti di un lasciapassare – costituito da un biglietto rosso, se “membri del congresso”, o celeste se “amatori”. J. Joyce non specifica di che colore fosse il suo “biglietto” e quindi non sappiamo a che titolo disponesse del lasciapassare che gli permetteva di passare il suo tempo nella Sala del Gran Consiglio a osservare i ritratti dei Dogi «anziché svolgere i miei doveri come uno dei tanti Scienziati». Quali fossero questi suoi “doveri” non è dato sapere, certo è che decise di lasciare «Venezia prima che venissero resi noti i risultati delle Ricerche e dei Lavori di cotanta Sapienza Collettiva, vale a dire prima che venisse proclamata la Gran Tombola e annunciato il fortunato terno». Inutile dire che il suo nome non è presente nella rubrica delle partenze del Gazzettino di Venezia e nemmeno in quelle degli arrivi dell'Osservatore Triestino. Interessante è invece ricordare che per gli Scienziati Italiani il IX Congresso fu l'ultimo prima dell'Unità d'Italia. Quelle riunioni s'erano rivelate sempre più occasioni per manifestare sentimenti di unità nazionale, al punto tale che espliciti riferimenti alla “nostra Italia” determinarono la chiusura anticipata dei lavori e il Congresso terminò il 28 settembre, gli Atti furono sequestrati dalla polizia austriaca e non sono mai stati pubblicati. L'anno dopo scoppiava il '48. Perché J.J., chiunque egli sia stato, avrebbe dovuto firmare i suoi ricordi di viaggio con uno pseudonimo? Svolgeva forse attività di intelligence per il Foreign Office britannico e aveva quindi bisogno di un alias? L'enigma, al momento, resta irrisolto. —

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