Chiara Rapaccini: «L’amore scandaloso per Mario Monicelli»

Nel romanzo “Baires” la storia del superamento di un lutto, in una trama tra noir e soprannaturale

di ALESSANDRO MEZZENA LONA

Un libro per piangersi addosso. No, Chiara Rapaccini non lo avrebbe mai potuto scrivere. Una come lei, che ha seminato la sua vita di storie per ragazzi, di mostre d’arte, di invenzioni per il design e la moda. Però non poteva nemmeno dimenticare, nel primo romanzo dedicato a un pubblico di adulti, che una parte importante del suo mondo se n’era andata per sempre. Assieme al compagno, il grande regista Mario Monicelli, che si è tolto la vita nel 2010.

Così Chiara Rapaccini ha inventato un libro pirotecnico e dolente. Un incontro perfetto tra gioia di vivere e riflessione profonda. Quel “Baires”, pubblicato da Fazi Editore (pagg. 237, euro 18), che oggi viene presentato alle 18 all’Antico Caffè San Marco, in via Battisti 18 a Trieste.

Al centro della storia c’è Frida. Una donna ancora bella, anche se il tempo ha lasciato il segno su di lei. Invitata a Buenos Aires per curare una sfilata di moda, decide di mettersi in viaggio anche se si porta appresso il grande dolore che le ha lasciato dentro la morte del Vecchio. Sarà nelle amiche e negli amici-amanti, nell’intrecciarsi di una trama che mescola il noir e il soprannaturale, la sensualità e il sogno, che proverà a ritrovare se stessa. Scoprendo che il lutto, dopo un po’, diventa un comodo rifugio. Per non confrontarsi più con la realtà.

«Frida è una mia alter ego - spiega Chiara Rapaccini -. E non c’entra niente la pittrice Frida Kahlo. Il nome l’ho preso a prestito da quello di mia nonna. Frida Amman. Era nata a Graz, in Austria, la sua famiglia aveva una fabbrica a Pordenone di stoffe molto pregiate. Sono andata a vederla, qualche tempo fa. Mi ha accompagnata Lorenzo Codelli, il critico cinematografico triestino. Esiste ancora, ma è abbandonata. In rovina».

La nonna, d’accordo. Ma la storia è vera solo in parte?

«Al 50 per cento è vera, al 50 finta. Tanto per dire: il Veccchio del libro è Mario Monicelli, che appare e non appare. Un fantasma in tutti i sensi. Ho voluto far entrare in questa storia l’uomo della mia vita perché io, come Frida, ho fatto fatica a elaborare il lutto. Però, al tempo stesso, l’ho ritratto in modo reale, a tratti forse brutale. Perché l’uomo che ami, a volte, può essere anche un laccio al piede».

E il viaggio in Argentina?

«Sono andata a Buenos Aires con Monicelli. E ho desiderato ritornare lì dieci giorni dopo che lui si era suicidato. Normale che uno scrittore, poi, trasformi una formica in un elefante, perché lavora di fantasia. Però è vera la mia collaborazione con alcuni stilisti di moda argentini. Ed è vero pure che quella città è davvero strana, misteriosa. Ha qualcosa di folle. A me piace molto la sua sensualità, comune a tutta l’America Latina».

Designer, pittrice, scrittrice e illustratrice per ragazzi. Non si ferma mai?

«Sono nata per sperimentare. E non so se è una dote. Il fatto è che sono una donna inquieta, dal punto di vista artistico e non. Ogni nuova possibilità è un viaggio. Infatti, la protagonista di “Baires” non si arrende mai. Più problemi e misteri trova sulla strada, più si convince che questo percorso assuma per lei un valore catartico. Del resto, Dante Alighieri immaginò di scendere all’Inferno per tornare a rivedere le stelle».

Ha trovato anche lei un Virgilio in Argentina?

«Il mio Virgilio è stato Rosaria, la mia amica di Buenos Aires, che poi ho reinventato nel romanzo. Ma nella finzione, come nella realtà, ne ho trovati parecchi di personaggi guida. Soprattutto donne».

Quando si è innamorata della scrittura?

«Sono partita dalle storie per bambini. Ho lavorato molto bene con le Edizioni EL di Trieste. Considero Orietta Fatucci una donna dalle intuizioni geniali nel campo dei libri per ragazzi. È lei che mi ha permesso di creare Le Viperette, una collana molto sperimentale».

Non si è fermata lì.

«Naturalmente no. Ho fatto cartoni animati, mostre di pittura. Poi, un giorno, mi sono decisa a scrivere per i “grandi”».

La spaventava raccontare storie agli adulti?

«Devo dire che è stato Furio Monicelli a convincermi. Ci ha lasciati poco dopo Mario, per me è stato un dolore terribile. Sono rimasta sola in pochissimo tempo. Lui aveva letto un mio libro».

E poi?

«Si intitolava “Babbi”, l’ha pubblicato Buena Vista. Conteneva una serie di ritratti di padri inconsistenti. Un giorno Furio mi telefona e dice: “Ho letto i tuoi racconti, scrivi molto bene. Devi smetterla di nasconderti dietro la letteratura per bambini. Ti stai difendendo da te stessa”».

Era stato molto duro?

«Mi diceva: “Smettila di fare la bambocciona”. Aveva ragione, ma io non volevo accettare una critica così violenta. Ho raccontato tutto a Mario, concludendo che secondo me aveva esagerato. Ma lui mi ha fermata subito: “Se te lo ha detto mio fratello, uno dei grande scrittori del ’900, devi credergli”».

Era davvero un grande Furio Monicelli...

«Aveva scritto romanzi bellissimi come “Il gesuita perfetto”, poi ripubblicato come “Lacrime impure”, e “I giardini segreti”. Peccato siano stati dimenticati».

Alla fine è stato difficile scrivere “Baires”?

«I libri per bambini li scrivo in poco tempo. Questa volta è stato tutto più difficile. Volevo raccontare come una donna non più giovane può buttarsi nell’orrore, nella disperazione della solitudine, ritrovando se stessa. Sempre se accetta di non annegarsi nel botox, ma si confronta con altri mondi, altre culture».

A lei il coraggio non è mai mancato.

«Ho fatto cose fuori dalle regole, sempre. A 19 anni ero la ragazza dello scandalo. Nella mia piccola Firenze, in famiglia. Anche se poi i miei hanno capito. Mi ero innamorata di un uomo che aveva 40 anni più di me: Mario Monicelli. Ci si può immaginare, quando sono arrivata a Roma, gli inseguimenti dei paparazzi, le volgarità su di me».

Pensavano che la storia sarebbe durata qualche mese?

«Non mi conoscevano. Io sono un po’ come mia nonna Frida, che investì un sacco dei suoi soldi per creare ospedali da campo durante la guerra. Sono convinta che non valga la pena vivere rispettando in modo rigido i canoni imposti dalla società».

Ha conosciuto il meglio dell’Italia del ’900?

«Accanto a Mario ho potuto conoscere intellettuali del valore di Alberto Moravia, Laura Betti che portava sempre con sé il ricordo di Pier Paolo Pasolini, Sergio Amidei, Ettore Scola. Persone che non sopportavano la menzogna. Posso dire di essere stata educata come Susanna tra i vecchioni della Bibbia. E oggi mi sento orfana di quella generazione straordinaria».

Tutti troppo conformisti, oggi?

«Si pensa troppo ai propri interessi. Non c’è più coraggio. Ma non bisogna arrendersi, anche se il mondo è cambiato così tanto».

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