Charlie, nipote di Charlot «Era ossessionato dalla fame»

PORDENONE. «Avere come nonno Charlie Chaplin è come un dono di natura: bisogna farlo fruttare. Non ho mai sentito il peso della sua figura: anzi, la mia famiglia per me è stata un'opportunità e una...
Di Elisa Grando

PORDENONE. «Avere come nonno Charlie Chaplin è come un dono di natura: bisogna farlo fruttare. Non ho mai sentito il peso della sua figura: anzi, la mia famiglia per me è stata un'opportunità e una fonte di ispirazione». A parlare è Charlie Sistovaris, 43 anni, il nipote di Chaplin, ospite alle Giornate del Cinema Muto di Pordenone per rendere omaggio al nonno e al centenario di Charlot. Charlie è figlio di Josephine Chaplin, attrice anche per Pasolini in "I racconti di Canterbury", figlia a sua volta del grande regista e dalla quarta moglie Oona O'Neill. La sua è una famiglia numerosissima: Chaplin ebbe undici figli e più di trenta fra nipoti e pronipoti, molti dei quali hanno seguito il suo percorso artistico. Il nipote Charlie ha invece fatto scelte diverse: cresciuto in Francia, non si è mai sentito portato per il palcoscenico ma ha girato il mondo come rappresentante della famiglia e oggi si occupa del database dell'Association Chaplin a Parigi.

Charlie, quando suo nonno è morto lei aveva solo sei anni: conserva qualche ricordo diretto?

«Lo ricordo in giardino, mentre guarda la tv, ancora col suo bastone ma quasi sempre in sedia a rotelle. Ho però un ricordo molto vivido: una sera, dopo cena, la famiglia era tutta riunita in salotto e io stavo rubando tutte le noccioline di mia cugina: il nonno scattò in piedi e alzò il suo bastone contro di me. Tutti rimasero scioccati dalla sua reazione. In realtà anche nei suoi film era ossessionato dall'idea della fame e della giustizia, un sentimento rimasto intatto fino all'ultimo».

Ha mai sentito la pressione di essere il nipote di un'icona mondiale?

«No, perché non mi sono mai visto come un attore. Ho conosciuto mio nonno tramite le sue opere, sono anch'io un suo fan. Quel tipo di pressione forse è sentita soprattutto dai figli: sono d'accordo con mia zia Geraldine quando dice che essere un Chaplin è come avere un dono di natura, bisogna saperlo sviluppare».

Come portate avanti in famiglia il ricordo di Charlie Chaplin?

«Ognuno a suo modo. C'è chi tende a separare la sua personalità dal suo lavoro per preservarne un ricordo intimo. Alcuni pensano che debba essere condiviso da tutti, anche facendo comparire Charlot in spot. Per me la sua icona è così potente e la sua eredità così forte che non serve sminuirla a scopi commerciali».

Esiste, oggi, un erede artistico di Chaplin?

«Non mi viene in mente nessuno con la sua forza, anche simbolica. Mio nonno ha fatto confluire la sua vita personale nella sua arte. E univa in una sola persona moltissimi talenti: era musicista, produttore, regista, umanista, attore. Anche Clint Eastwood, per esempio, fa tutte queste cose, ma non credo sia comparabile».

Qual è il segreto che ha reso immortale l'arte di Chaplin?

«Il fatto di bilanciare alla perfezione la risata e la commozione. Nei film lunghi, come "Corsa all'oro" o "Luci della città", che è stato girato poco dopo la morte di sua madre ed è uno dei miei preferiti insieme a "Il circo", ha portato la sua infanzia traumatica sullo schermo. Raccontava che, con la maschera di Chaplin, venivano fuori cose che neppure lui si aspettava».

Oggi tornano protagonisti i Barrymore: il titolo clou della giornata, alle 20.30 al Verdi, è il "Dottor Jekyll e Mr.Hyde" di John Robertson del 1920, con la star dell'epoca John Barrymore.

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