Cenerentola di Rossini senza scarpetta
TRIESTE. È molto difficile cercare di inquadrare La Cenerentola (dall’8 aprile al teatro Verdi), ossia la bontà in trionfo di Gioachino Rossini, di là di ciò che recita ulteriormente il frontespizio del libretto di Jacopo Ferretti: melodramma giocoso, cioè un genere operistico che oscilla tra l'opera buffa e l'opera seria. Certo, il soggetto si basa evidentemente sulla notissima fiaba di Charles Perrault, ma Ferretti - che dovette slalomeggiare anche tra gli stretti paletti della censura pontificia - si rifece anche ad altri testi per questo capolavoro che debuttò al Teatro Valle di Roma il 25 gennaio 1817.
La censura pontificia fu responsabile della "scomparsa" della famosa scarpetta di Cenerentola dal testo dell'opera. Per quanto oggi possa sembrare assurdo, a quei tempi era impensabile che in pubblico, a maggior ragione in un teatro, la donna scoprisse un piede o una caviglia: le cantatrici erano considerate dalla Chiesa, nella migliore delle ipotesi, meretrices honestae. Nonostante ciò, il libretto è uno dei punti di forza dell'opera, perché i versi sono all'altezza della musica per inventiva, brio ed eleganza. Rossini poi ci mise del suo, ovvio, a partire dai fulminei tempi di composizione (tre settimane, ma ha fatto di meglio) e anche grazie alla consueta prassi dell'autoimprestito - peraltro comune a molti compositori di quegli anni - e cioè alla rielaborazione di alcune pagine musicali già scritte per altre opere.
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