C’è una ringhiera di Roiano nella corazzata Roma

La corazzata Roma era l’ammiraglia della flotta italiana durante il secondo conflitto mondiale. Costruita nel cantiere San Marco di Trieste e affondata al largo della costa sarda dalla Luftwaffe il 9 settembre 1943, all’indomani dell’armistizio, è una di quelle navi destinate a entrare nell’immaginario diffuso di una nazione. Da quando venne colata a picco durante il trasferimento dell’intera flotta rimasta fedele al re a La Maddalena, per poi andare a Malta, come previsto dalle clausole dell’armistizio, il Roma è diventato il simbolo delle furia cieca di ogni guerra, il grande guerriero sacrificato alle trame della Storia. Le immagini della sua distruzione e dell’affondamento - realizzate sia dalle altre navi del convoglio che dai piloti tedeschi -, con le alte volute di fumo e il fuoco che divora il gigante, restano uno dei simboli della disfatta italiana e dell’orgoglio nazionale calpestato. Nel naufragio morirono 1352 marinai, compreso il comandante delle forze navali da battaglia, l’ammiraglio Carlo Bergamini. I superstiti furono 622. La nave, spezzata in tre parti, si inabissò fino ad adagiarsi in un canyon sommerso a 1200 metri di profondità, e la ricerca del relitto è stata per decenni un’avventura che ha coinvolto il fior fiore degli esploratori subacquei. Finché non l’ha spuntata, il 28 giugno 2012, Guido Gay, ingegnere e inventore di robot subacquei filoguidati.
Il destino del Roma ha ispirato molti studi e vari libri, compreso un romanzo di Folco Quilici (“Alta profondità”, Omnialibri 2011) e la recente, corposa monografia di Andrea Amici (“Una tragedia italiana. 1943 - L'affondamento della corazzata Roma”, Longanesi 2010). In questi giorni escono altri due libri dedicati alla nave, “La tragica fine della R. corazzata Roma nell’inedito manoscritto di un ufficiale supersite” di Riccardo Mattòli (Gangemi Editore) e soprattutto “Corazzata Roma destinazione finale” del triestino Ugo Gerini (Luglio Editore, pagg. 151, euro 18,00). Quest’ultimo volume viene presentato oggi, alle 17.30, alla Casa del Combattente in via XXIV Maggio a Trieste, alla presenza dell’autore e di Guido Gay, lo scopritore del relitto.
Ugo Gerini è uno di quegli autori che si tuffano in una storia perché sentono in qualche modo di farne parte. Come racconta ad apertura di libro, sin da quando era bambino la corazzata Roma ha fatto parte del suo immaginario: un po’ perché suo padre, Giorgio Gerini, fu capitano di macchina e costruttore navale, e da piccolo lo portava a vedere il Cantiere San Marco ricordandogli come “laggiù hanno costruito la corazzata Roma”. E poi perché quand’era piccolo sua nonna Maria gli spiegava che la bella recinzione in ferro battuto nel giardino della casa di Roiano era stata divelta e ceduta al cantiere proprio per la costruzione della corazzata, negli anni in cui gli italiani donavano oro e ferro alla Patria. Insomma, per Gerini scrivere un libro sulla storia del Roma era il giusto modo di fare i conti sì con la memoria storica, ma anche con quella personale. Nel suo libro, ricco di immagini, disegni e fotografie, comprese quelle eccezionali del relitto, Gerini ricostruisce così il contesto storico, la genesi, con le caratteristcihe tecniche, e la fine della grande nave. Una narrazione che utilizza varie fonti, anche dirette, tra cui il toccante racconto di un naufrago, il tenente di vascello Agostino Incisa Della Rocchetta, e la testimonianza di Walter Sumpf, il pilota tedesco del Dornier che lanciò “Fritz”, il potente razzo radioguidato che diede il colpo di grazia al Roma: “Tornai alla base pieno di orgoglio - racconta Sumpf -(...) A me importava assai poco se avevo colpito inglesi o americani o italiani, per noi non esisteva differenza di sorta, era la tragica legge della guerra”. La storia della caccia e della scoperta del relitto è poi affidata in prima persona a Guido Gay. È la parte più attuale e scanzonata del libro, e apre a tutta una serie di riflessioni su cosa rappresenti il relitto di una nave moderna, sia sotto il profilo normativo (in Italia cercare relitti è illegale, solo lo Stato ha il diritto di farlo) che culturale (a differenza di altre Marine militari, quella italiana continua a guardare ai resti delle proprie navi più come a cimiteri sommersi che reperti storici da studiare). Gay, che per altro ha sempre operato in stretto contatto con le istituzioni, trovò “casualmente” il relitto del Roma nel 2012 utilizzando il robot filoguidato Pluto Palla, da lui inventato e costruito, dopo averlo spedito a 1200 metri di profondità per controllare due macchioline sulla scarpata di un canyon, anomalie comparse sullo schermo del sonar a bordo del suo catamarano Dedalus. Le macchioline erano i pezzi giganteschi della corazzata Roma, e le immagini mandate in superficie da Pluto Palla oggi raccontano meglio di qualsiasi parola il dramma che si consumò quel 9 settembre del ’43, quando l’Italia tutta affondava nell’abisso di una guerra voluta e perduta.
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