Case segrete di Trieste si svelano al fotografo e indovinarle è un gioco

di Arianna Boria Trieste vista dai suoi interni. La città del prefisso “multi” per eccellenza svelta i suoi eleganti, un po’ narcisistici individualismi, il suo “particulare”, gli angoli più intimi....
Di Arianna Boria

di Arianna Boria

Trieste vista dai suoi interni. La città del prefisso “multi” per eccellenza svelta i suoi eleganti, un po’ narcisistici individualismi, il suo “particulare”, gli angoli più intimi. Guidati da una giornalista e stimolati dall’obbiettivo di una fotografa, entriamo nelle stanze di case private, ville, appartamenti, sottotetti, e lasciamo scorrere gli occhi con curiosità su pezzi di design, su preziosi oggetti di famiglia, su colpi cromatici o, all’opposto, su ambienti “greige”, mix di grigio e beige, su bizzarre collezioni, timbri, carnet da ballo, porta-bouquet...

Micaela Zucconi Fonseca, per dieci anni alla vice direzione di Marie Claire Maison e Francesca Moscheni, fotografa, hanno scatenato il gioco di società più divertente, che sicuramente gli autoctoni compulseranno, il who is who di Trieste, o meglio, il whose is whose.

Di chi è la mansarda dove la ceramica di una vecchia stufa incornicia un caminetto e la padrona di casa dorme nel letto che fu di sua nonna guardando un disegno di Bueno? Chi è la famiglia italoamericana che abita nella casa rurale ottocentesca in pietra del Carso, sul colle di Scorcola, filo conduttore il colore rosso e firme di designer come Patricia Urquiola e Tomita Kazuhiko, che convivono con i vetri di Venini, il paravento balinese e una porta acquistata in Rajasthan, in un “crossover” stilistico sorvegliato dal gusto della padrona di casa?

Chi si muove nei solenni ambienti stile Impero, dove ogni modernità è bandita e il tempo si concentra in due secoli, Seicento e Settecento, dove la selezione di oggetti d’antiquariato, curata dai proprietari “battendo” mostre e gallerie («le aste no, non emozionano...»), è aperta idealmente dal dipinto di un noto francese del ’700, François Bouquet (un po’ come la Numero Uno di zio Paperone...), acquistato a rate, per fiuto, senza conoscere l’autore? Chi è il Lorenzo collezionista compulsivo di accendini Zippo, di lampade, di giocattoli di legno? Chi è riuscito a trasformare una delle tantissime pietre con corda della, smontata, installazione di Kounellis, in un bon bon d’arredo, collocandola sopra un mobile cinese rosso denso?

Questi “interni” d’autore sono una delle sezioni, la più curiosa, del patinato “Vivere a Trieste” (Idea Libri, pagg. 239, euro 49,00, edizione bilingue italiano e inglese) firmato da Micaela Zucconi Fonseca, triestina nel cuore trasferita a Milano, e Francesca Moscheni, milanese di padre triestino, da venticinque anni fotografa per importanti testate internazionali. Il libro viene presentato oggi, alle 18, alla libreria Ubik in Galleria Tergesteo, dalle autrici insieme al giornalista Pietro Spirito.

Un omaggio-strenna a una città fascinosa ma per tanti versi indecifrabile, al suo grande passato dietro le spalle e al suo futuro ancora da scrivere, alla sua architettura urbana d’autore e al design discreto e autorevole degli spazi privati, ai suoi artisti e intellettuali, ai creativi spesso più noti nel mondo che a casa, ai “miti” ormai entrati nell’immaginario collettivo nazionale: il bagno di “genere” Pedocin, il Leone alato delle Generali, Miramar, il Caffè San Marco dove Magris distilla parole, il “monumento” polveroso della libreria di Saba, maliziosamente (per vezzo o filo di perfidia?) accostato a quella dell’indaffarato e rampante libraio editore Volpato, la Drogheria 28.

Un biglietto da visita ricco di splendide foto (una sola, il golfo picchiettato dalle vele della Barcolana, è firmata da Marino Sterle) destinato a veicolare l’immagine di una città che ha tanto da offrire al turista e da riscoprire - o addirittura scoprire - per l’autoctono annoiato e distratto: cultura, arte, edifici e libri, ma anche attrattive da golosi e gourmand, alberghi e residence a tante stelle, atelier, artigianato d’autore, un archivio della moda che, grazie al concorso Its, trasforma una soffitta di piazza Venezia in una miniera inesplorata di giovani talenti internazionali.

Ma torniamo alle case perchè, forse a dispetto delle stesse intenzioni delle autrici, non potranno non catalizzare l’attenzione dei lettori. Nella spunta del “chi c’è chi non c’è” tra le più prestigiose e sfiziose, per due delle dimore selezionate gli indizi celati negli “scatti” mettono il curioso sulla buona strada. La ragguardevole “E” sull’asciugamano nel bagno impreziosito da una cascatella di piatti di fini porcellane azzurre, come una spruzzata di gocce sospesa sulla vasca, non potrebbe stare per Etta, la signora di villa Carignani? La collezione di borse di bachelite americane degli anni Quaranta, trait d’union tra zona giorno e zona notte nell’appartamento di un palazzo nobiliare, dove convivono antico e moderno, chissà sia quella di un’altra signora che ama ricevere e raccogliere preziosità, Tina Campailla? È subito “fuochino”, invece, per l’identità della giovane coppia che ha scelto un lussuoso appartamento a Palazzo Diana, indimenticata sede e sinonimo di Dc: i pezzi di modernariato - confida alle autrici la padrona di casa - li ha scovati suo padre, proprietario di un residence di via Venezian...

Nessun dubbio neppure per villa Tripcovich, immaginificamente teatrale come la vollero il barone de Banfield e la mano del pittore e decoratore Emilio Carcano, già “firma” delle dimore di Nureyev a Parigi e delle scenografie di Giulietta e Romeo per Zeffirelli, magione oggi di Luca Farina, patròn della “Orion”. Che, forse anche per l’«intoccabilità» del regno di Falello, la riserva a residenza estiva, come un signore ottocentesco. E dubbio non c’è, naturalmente, dove sono gli stessi padroni di casa a fare gli onori: lo scrittore e regista Giorgio Pressburger nella casa-studio, zona “extraterritoriale”, in stile Secessione viennese, diversa da quella dove abita, lo scrittore Veit Heinichen nel buen retiro di Santa Croce, a picco su un mare mozzafiato, il pittore Serse Roma nell’ex serra ristrutturata dove dipinge e il collega Paolo Cervi Kervischer nell’abitazione-studio nella casa disegnata da Max Fabiani, disseminata da indizi che tradiscono la passione per l’Oriente. Ancora, David Dalla Venezia, che ha scelto Trieste per lavorare alla sua pittura figurativa nutrita di fumetti e cinema, e Alice Psacharopulo, che svela all’osservatore solo uno scorcio della sua defilata casa di via Commerciale. E c’è anche Fabio de Visentini, ex manager pubblico ma qui in veste di anfitrione “aromatiere”, intento a setacciare, dalla sua lontana formazione farmaceutica, una cioccolata senza latte nè grassi, godimento per salutisti.

Il viaggio in questa Trieste-boutique si chiude con un pugno di ferro, il design industriale della Wärtsilä. E l’auspicio, in chi sfoglia, che cultura, turismo e pure industria permettano a nuove generazioni di lavorare, crescere e far crescere la città. Poi, magari, anche collezionare, qualcos’altro che sogni.

@boria_a

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