Carmelo Zotti, il pittore che fonde sulle tele solarità e cultura nordica
Al centro culturale “Conti Agosti” della Fondazione Ambrogio di Mareno di Piave (Treviso) più di cinquanta opere su carta dell’artista triestino, tra i più originali del secondo ’900
TRIESTE. Più di 50 opere su carta, nella maggior parte dei casi di grande formato, piene di colore, di concetti, di rimandi, sono attualmente esposte al centro culturale “Conti Agosti” della Fondazione Gianni Ambrogio di Mareno di Piave, vicino a Treviso, nella mostra “Carmelo Zotti - Nel segno del realismo mitico - Opere inedite 1953-2007”, a cura di Dino Marangon in collaborazione con Michele Beraldo e Brigitte Brand. La forza del colore, l’espressività del segno di uno degli autori del nostro territorio tra i più originali della seconda metà del ‘900, vengono nuovamente a sorprendere anche chi già conosce la sua arte, per la maniera libera, immediata, oltremodo efficace di fissare le sue idee, le sue storie su queste carte.
Nato a Trieste nel 1933, da padre istriano, capitano di lungo corso del Lloyd triestino, e madre cipriota, Carmelo Zotti nella sua città natale ha trascorso gli anni dell’infanzia. Successivamente si è trasferito insieme alla famiglia prima a Napoli e quindi a Venezia dove ha iniziato a frequentare l’Accademia di Belle Arti seguendo le lezioni di Bruno Saetti dal quale apprende, come osserva Dino Marangon, «la fedeltà al mestiere e la creativa indipendenza del segno rispetto all’oggettiva conformazione figurale.»
Nel ‘53 dopo aver ottenuto a Roma il Premio per il Bianco e nero alla mostra di arti figurative svoltasi a Palazzo Venezia nell’ambito degli Incontri della Gioventù, interrompe gli studi per imbarcarsi come mozzo sul mercantile Sistiana e intraprendere un viaggio che attraverso il Canale di Suez, lo porta fino in India e in Birmania. «Le suggestioni di quel viaggio -ricorderà l’artista- riposarono a lungo dentro di me, per riemergere nelle sfumature del sogno in forme antiche e primitive, in una veste quasi metafisica di isolata e quieta solarità.»
Nel 1954, rientrato a Venezia, si rivela tra i giovani artisti più promettenti, vincendo il primo premio dell’Opera Bevilacqua La Masa, mentre nel ‘56, anno del suo diploma all’Accademia, partecipa per la prima volta alla Biennale di Venezia esponendo tre suoi dipinti. Da qui in poi un’ampia e prestigiosa attività espositiva accompagna la sua carriera contrassegnata dalla partecipazione a numerose mostre nazionali e internazionali, collettive e personali. Tra le ultime, si possono ricordare la retrospettiva al Museo d’Arte Moderna Ca’ Pesaro di Venezia nel 1995 e l’antologica al Museo della Permanente di Milano nel 2007, anno della sua scomparsa a Treviso.
Nel 1973 aveva ottenuto anche la titolarità della cattedra di pittura all’Accademia di Venezia che terrà fino al 1990 formando tanti allievi italiani e stranieri, tanti provenienti anche dalla nostra regione. “Zotti&Allievi” è stato stato il titolo di una serie di iniziative che tra il 2008 e il 2009, gli hanno reso omaggio a Venezia, Fiume, Capodistria, Pirano giungendo pure a Trieste, allo Studio Tommaseo, con la mostra “Bozzetto di una storia” che esponeva le sue opere accanto a quelle degli amici Romano Abate, Brigitte Brand, Wanda Casaril, Carlo Ciussi, Gea D’Este, Pope, Mauro Sambo, Sarah Seidmann e Davide Skerlj.
Nell’ampia e ricca retrospettiva ospitata a Mareno di Piave si ha modo di ritrovare tutti i temi e gli elementi oggetto di ricerca, analisi e sperimentazione da parte dell’artista, dai suoi esordi veneziani fino alla sua ultima fase pittorica. Dagli inizi vigorosamente improntati al realismo di cui è testimonianza un intenso autoritratto, egli giunge, attraversando il campo dell’astrattismo e dell’informale, ad una nuova figurazione. Insegue e rielabora le diverse suggestioni derivategli dai vari viaggi e soggiorni in Egitto, in India, in Birmania e poi negli Stati Uniti, in Messico, o ancora in Belgio, Olanda, Germania e Spagna, abbracciando sempre nuovi universi creativi nei quali l’immagine dell’uomo moderno si somma alla dimensione del mito evocando inquietudini, dubbi, enigmi di tempi presenti ed eterni insieme.
«Le fonti sono le più diverse – annota Dino Marangon-: dalle memorie dell’antico Egitto e dell’India alla letteratura greca arcaica e classica, al multiforme panorama della cultura latina, dalla Bibbia ai Vangeli e alle parabole cristiane e, ancora, dalle leggende medioevali ai raffinatissimi testi dell’età elisabettiana, alle meraviglie della cultura seicentesca e avanti, fino ai giorni nostri.»
Böcklin, de Chirico, Savinio ma anche Munch e Bacon, Sutherland o Permeke, sono gli artisti che vengono alla mente guardando le stranianti rappresentazioni di Zotti, dove la cultura nordica pare fondersi con la solarità mediterranea, il simbolismo con l’espressionismo, l’Oriente con l’Occidente.
Elefanti, sfingi, angeli appaiono, mentre corpi femminili e maschili stanno in spiagge desolate tra templi, torri, architetture di antica memoria o in interni pieni di solitudine e di non detti, con il colore a trasmettere l’emotività di una situazione e un segno, spesso arruffato, a dire il tormento, la tensione o l’aspirazione dell’uomo: a indagare il mistero dell’esistenza, nel rapportarsi gli uni agli altri, nel mondo e al di là del mondo.
La mostra, arricchita di un catalogo edito da Antiga, rimarrà aperta fino al 30 gennaio 2022 con ingresso libero (info allo 0438.498811). —
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