Carciotti affidò a Pertsch il suo sogno per Trieste di un futuro colto e ricco

Oggi sesta lezione al Teatro Verdi di Trieste: alle 11 il direttore del Piccolo Paolo Possamai terrà una lezione su “Trieste si racconta. A partire dai fregi e dalle decorazioni di palazzo Carciotti e palazzo Stratti”. Diretta streaming sul nostro sito
Un particolare di palazzo carciotti fotografato da Fabrizio Giraldi
Un particolare di palazzo carciotti fotografato da Fabrizio Giraldi

Sesta lezione del ciclo “La storia nell’arte”. Domenica 6 marzo al Teatro Verdi di Trieste, alle 11, sarà il direttore de “Il Piccolo” Paolo Possamai il protagonista di “Trieste si racconta. A partire dai fregi e dalle decorazioni di palazzo Carciotti e palazzo Stratti”, nuovo appuntamento della rassegna di incontri organizzata dagli Editori Laterza con il Comune di Trieste, Il Piccolo, Acegas Aps Amga del Gruppo Hera, Fondazione CRTieste. Sul sito www.ilpiccolo.it si potrà seguire la diretta streaming

di PAOLO POSSAMAI

Non so quanti di noi, come ci accade riguardo alle persone con cui maggiore è la dimestichezza, abbiamo perso di vista i caratteri del volto urbano di Trieste. Per distrazione, per trascuratezza non vediamo più che l'imago urbis triestina è tutt'affatto particolare. Silvio Benco adopera l'espressione «fisionomia neoclassica». Ma non basta a definire un'avventura culturale tanto tardiva quanto peculiare.

Le architetture neoclassiche a Trieste si contraddistinguono per profusione di statue, fastigi e rilievi, con una insistenza che non riscontriamo in alcuna altra città. Non è solo una questione di numeri, insomma della quantità di statue uscite nel corso dell'800 dalle fiorenti botteghe degli scalpellini attive in città. Tutto parla del mare nell'avventura urbana di Trieste. Sui palazzi della ricca borghesia, e in primis a partire dal capostipite palazzo Carciotti, ma anche sulla Borsa e sul Tergesteo, su palazzo Revoltella e in piazza Unità, l'esibizione di statue dei Continenti, di Nettuno, di Mercurio, di Minerva sempre richiama al tema del mare e dei commerci e alla ricchezza e alla cultura che ne deriva e alla ricerca di un destino di benessere laicamente perseguito. Che è il seme della identità di Trieste, esibita sul suo volto urbano.

L'ornamento delle architetture a Trieste è talmente enfatico nella ripetizione di un repertorio di immagini e simboli da costituire con evidenza un artificio retorico. L'insistenza con cui compaiono le figure di Mercurio e Nettuno, è una sorta di warning ribadito a ogni pie' sospinto. La ripetizione ennesima di indizi identitari. E secondo Roland Barthes gli indizi «rinviano a un carattere, a un sentimento, a una atmosfera, a una filosofia». Per converso, i simboli della cristianità sono assolutamente minoritari e anzi rarissimi. E in questo fattore troviamo un ulteriore indizio anomalo, rispetto al contesto generale italiano e in effetti largamente pure europeo.

Il protagonista assoluto nel pantheon triestino è Mercurio, o se preferite Ermes per dirla con i greci, protettore dei commercianti e dei viaggiatori, ma pure dei ladri. Un dio astuto e un po' briccone, un imbroglione, gran parlatore. Potremmo dire una sorta di dio della comunicazione, perché presiede ai commerci, agli scambi, ma anche alla parola. I suoi segni di riconoscimento più correnti sono il caduceo e i calzari alati, talora compare con il cappello alato e tiene in mano un sacchetto pieno di denaro in mano, talaltra lo accompagnano un gallo o una cetra a sette corde. A Trieste in coppia con Mercurio, anzi in alleanza, viene sempre Nettuno, il greco Poseidone re del mare, con la sua schiera di tritoni, sirene, delfini, nereidi, cavalli. Li incontriamo, camminando per strada nella città neoclassica nei fregi, nei portoni dei palazzi, nelle statue, nei parapetti in ferro dei balconi.

L'impero asburgico con la pianificazione del borgo Teresiano aveva garantito norme e terreni. Ma è un privato imprenditore al volgere del secolo a mettersi in questione rispetto a una partita di scala urbana: Demetrio Carciotti, nativo della Morea, che giunse a Trieste nel 1771. Fece in breve tempo fortuna, organizzando per il Levante prosperosi commerci in particolare di stoffe. Ma non si è limitato a interpretare con successo il suo itinerario di imprenditore: ha voluto dichiarare i propri valori e assumere un ruolo da protagonista nella società triestina. Sulle orme del suo esempio e guardando al modello del suo palazzo si muoverà poi il concerto degli investitori.

Il palazzo Carciotti è stato costruito tra 1799 e 1805 su progetto dell'architetto Matteo Pertsch, nato nel 1769 a Buchhorn, sulle sponde del lago di Costanza. Pertsch viene convocato da Carciotti a Trieste, assieme allo scultore vicentino Antonio Bosa, con un gesto che lascia stupefatti: il prudente mercante affida la sua ambiziosissima impresa a due artisti molto giovani. Bosa non aveva nemmeno 20 anni.

Con la chiamata di Pertsch irrompe a Trieste la grande scuola milanese d'architettura e in particolare la lezione neoclassica di Giuseppe Piermarini, architetto di corte, autore per conto degli Asburgo di una radicale riconfigurazione urbanistica della capitale lombarda, e capace di innescare con i suoi progetti un processo imitativo che coinvolge le principali famiglie del ceto nobiliare lombardo. Allo stesso modo, Pertsch nei suoi cantieri e con il suo esempio formerà una intera generazione di architetti triestini. Possiamo qui accennare al parallelo Milano/Trieste, e cioè al fenomeno di radicale renovatio urbis in chiave neoclassica che entrambe le città conoscono per volere dell'impero asburgico. Due capitali, ciascuna a proprio modo.

L'architetto tedesco sviluppa una maestosa facciata, segnata da un avancorpo lievemente aggettante e da una loggia poco profonda quanto imponente per l'impiego di colonne giganti d'ordine ionico. Il fulcro centrale è segnato dallo sviluppo verticale della cupola, che presenta un tamburo particolarmente pronunciato. Arriva una lingua nuova, informata del lessico più moderno. Fu Pertsch il primo a inserire nelle facciate pannelli a rilievo, disposti tra le lesene che scompartiscono la facciata, motivo derivato direttamente da modelli di Piermarini.

I Carciotti richiedono per le facciate del loro palazzo 10 statue colossali che, assieme ai rilievi negli intercolumni e nell'alto tamburo della cupola, indicano il senso di un "progetto totale".

Occorre rimarcare che Carciotti non è solo il committente del palazzo, ma in qualche modo il padre del programma decorativo, che ricomprende oltre alle statue allegoriche, decine di riquadri, metope e lunette a rilievo largamente riferibili ai simboli delle arti e delle scienze. Repertorio che richiama all'uomo di impresa il dovere di promuovere e tutelare la cultura. Carciotti candida se stesso a essere guida e modello della società triestina, come emerge tanto nella narrazione della statuaria sulle facciate che nell'apparato decorativo interno.

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