Bottecchia, il mistero e il mito

Un libro di Claudio Gregori, premiato al Bancarella, racconta il campione di Pordenone
Strano destino quello di Ottavio Bottecchia. E sì, perché la sua morte improvvisa, violenta, inspiegabile, che ancora oggi rimane avvolta nel mistero, ha cancellato una vita intera piena di storie da raccontare. Pochi ricordano, insomma, che da soldato della Grande guerra ha tenuto testa sul fronte friulano allo strapotere dei battaglioni guidati da Erwin Rommel, la futura “volpe del deserto”. Pochissimi rievocano le sue entusiasmanti vittorie al Tour de France, e un secondo posto conquistato quando correre in bicicletta voleva dire affrontare tormenti degni di un condannato all’inferno.


Però, a ben guardare, non è strano che il campione nato a San Martino di Colle Umberto, vissuto per lunghi anni a Pordenone, morto a Gemona quindici giorni dopo uno strano incidente sulla salita che porta a Peonis, sia diventato soggetto perfetto per decine di libri. Perché, in effetti, la sua vita è stato un alternarsi di momenti luminosi e fulminee discese nelle tenebre. Misteri a cui, ancora oggi, è impossibile dare una risposta e giornate gloriose. Come capita, insomma, agli eroi che riescono a entrare nel mito.


Difficile stancarsi nel ripercorrere la sua storia. Impossibile annoiarsi nel ricostruire la sua vita, durata soltanto 33 anni. Tanto che un giornalista e scrittore di lungo corso come il trentino
Claudio
Gregori
, che ha firmato articoli per molti giornali, tra cui la “Gazzetta dello Sport”, deve aver trascorso anni a scartabellare negli archivi per mettere meglio a fuoco un campione che «non appartiene alla cronaca giudiziaria, ma alla poesia». E che se il ciclismo fosse paragonabile alla grande pittura, nella storia dell’arte a pedali occuperebbe con pieno merito il posto di Giorgione.


Forse per questo, Claudio Gregori ha scelto, per la monumentale biografia che racconta “Vita, morte e misteri di Ottavio Bottecchia”, un titolo che non rimanda al ciclismo, ma alla letteratura epica, alla chanson de geste:
“Il corno di Orlando”
. Pubblicato dalla casa editrice
66thand2nd (pagg. 533, euro 22)
, sulla scia de “Il figlio del tuono” che raccontava l’epopea del “Cannibale” Eddy Merckx, ha convinto la giuria del Bancarella ad assegnare al suo autore il Premio “Bruno Raschi” alla carriera. Il Bancarella Sport è andato a Marco Pastonesi per “L’uragano nero”, dedicato alla stella neozelandese del rugby Jonah Lomy, mentre il Bancarella 2017 ha incoronato lo scrittore padovano Matteo Strukul con “I Medici. Una dinastia al potere” (Newton Compton).


Ma raccontare Bottecchia senza addentrarsi nei misteri della sua vita è praticamente impossibile. Gregori lo scopre strada facendo. Difficile dire, ad esempio, se lui fu tra gli emigranti italiani che andarono a lavorare in Francia, molto prima che il Tour lanciasse il suo richiamo. Impossibile capire perché Ottavio, eroe di guerra indomabile nel suo non voler arrendersi al nemico, venne sempre lasciato ai margini della propaganda nazionalista prima, e fascista poi. Al punto che non comparve mai in nessuna manifestazione pubblica. E fu platealmente ignorato da Benito Mussolini anche dopo la doppia, strepitosa vittoria in terra francese. Proprio nel periodo in cui il duce stendeva il tapeto rosso davanti a qualunque atleta, compresa la nazionale di calcio, capace di tenere alto l’onore dell’Italia.


Ma i misteri non si esauriscono qui. Gregori racconta i mille sospetti sul Tour che l’ex muratore solitario e carrettiere. medaglia di bronzo nel sesto Battaglione bersaglieri ciclisti, concluse al secondo posto nel 1923. Cedendo forse alle lusinghe economiche di Henri Pélissier, il francese che finirà ammazzato dalla sua amante, e della squadra che aveva scritturato entrambi: l’Automoto. E, se non bastasse, le minacce ricevute da Bottecchia nel Tour successivo, tanto che dovette presentarsi in gruppo senza la maglia gialla per non farsi riconoscere dagli antifascisti che lo odiavano per una sua enigmatica (e mai completamente chiarita) adesione al Partito di Mussolini.


Resta da ricordare ancora la fine tragica del fratello Giovanni, investito mentre pedalava in bicicletta dall’auto di Franco Marinotti, imprenditore veneto amico e testimone di nozze di del duce. Morte avvenuta pochi mesi prima di quel maledetto 3 giugno del 1927. Quando Ottavio Bottecchia venne trovato ferito sulla strada che porta a Peonis. Vittima di un malore? O massacrato di botte in un agguato? Ancora oggi una risposta non c’è.


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