Bianchini esalta i luoghi dell’infanzia, con l’horror

In “Oltre il guado”, premiato al FantaFestival di Roma, il Friuli gioca un ruolo di primo piano. E anche le leggende
Di Beatrice Fiorentino

Quando si parla dell’ondata di successo che investe il cinema del Friuli Venezia Giulia non bisogna trascurare il talento horror del regista udinese Lorenzo Bianchini, che con il suo ultimo film “Oltre il guado”, ambientato e girato tra i boschi di Monteprato e il centro antico di Topolò, è riuscito a conquistare i festival di mezzo mondo.

Bianchini debutta come regista di lungometraggi nel 2001. “Lidrîs cuadrade di trê” (Radice quadrata di tre), prodotto a bassissimo costo e girato in lingua friulana nei sotterranei dell’Istituto tecnico industriale A. Malignani di Udine, non passa inosservato. Successivamente, “Custodes Bestiae”, girato tra Aquileia, Osoppo e Villa Manin, e il noir metropolitano “Film sporco”, affermano l'autore sulla scena dell'horror indipendente italiano.

Ma è con “Occhi”, realizzato tra il 2007 e il 2008, che il regista riesce a ottenere i primi finanziamenti che gli consentono di abbandonare l'autoproduzione. Intanto il suo nome è già divenuto di culto tra gli appassionati. Il 2013 è l'anno di “Oltre il guado”. Prodotto da Omar Soffici (Collective Pictures), il film passa anche al Science + Fiction, ma soprattutto conquista la scena internazionale: due premi a Molins de Rei (miglior regista e premio della giuria giovani), miglior film al Cinestrange di Dresda, menzione speciale a Montreal e a Omaha, senza contare i successi nazionali che arrivano con la vittoria al ToHorror e al Ravenna Nightmare, fino all'assegnazione del Pipistrello d'oro, al FantaFestival di Roma meno di una settimana fa.

«E’ la storia di un etologo naturalista - racconta Bianchini - che va per boschi per osservare il comportamento degli animali. Applicando una microcamera sul dorso di una volpe per studiarne gli spostamenti, scopre nelle zone boschive più interne i ruderi di un paese abbandonato. Sulle tracce della volpe attraversa un guado, intanto il maltempo si avvicina, comincia a piovere, le acque del fiume si gonfiano rendendo impossibile il suo rientro. Resta perciò isolato, senza possibilità di ritorno, costretto a vivere un'avventura inaspettata».

Una storia da brivido che conta sulla grande interpretazione di Marco Marchese, nei panni del protagonista. «L'ho conosciuto sul set di “Occhi” - spiega il regista - veniva sempre a darci una mano. Ho notato il suo volto, così particolare. Quando ho scritto “Oltre il guado” mi è tornato in mente e ho capito che poteva essere l'attore giusto».

Il linguaggio adottato da Bianchini è rigoroso, ma presenta anche elementi di novità: «Le tecnologie che abbiamo usato per le riprese notturne, con le telecamere applicate sulle volpi, incidono nello stile, effettivamente. Sono messe lì per spiare, nell'indifferenza della natura e nell'inconsapevolezza degli animali di essere osservati. Qualunque cosa passi o si muova da quelle parti, fantasma o animale, viene registrata. E' affascinante. Inoltre fungono da filtro. Lo utilizzo per introdurre gli elementi soprannaturali che arrivano nella seconda parte del film. Questo aiuta a creare un equivoco tra la realtà e ciò che non è reale».

Una scelta meta-cinematografica che rimanda direttamente all'essenza più profonda del cinema. C'è un altro grande protagonista nel film: è il territorio. I boschi scuri, il paesaggio aspro del Friuli, dialogano con il personaggio e in una certa misura influenzano il racconto. «I territori giocano sempre un ruolo fondamentale - spiega Bianchini - tante storie nascono suggerite dai luoghi. E' stato così pure per “Radice quadrata di tre”, anche se in quel caso si trattava di una scuola. I boschi e gli interni in cui abbiamo girato sono i luoghi della mia infanzia. Tutte le suggestioni che ho ricreato sono espressione delle leggende che mi venivano raccontate e che mi sono rimaste dentro. Ma quando descrivi le paure, anche se nascono da circostanze precise, queste travalicano i confini e diventano universali».

Il film infatti funziona ovunque. In Germania è già uscito in sala e prossimamente arriverà in altri sei Paesi, mentre si sta ancora lavorando sul mercato italiano che comunque lo accoglierà.

Ma per quale ragione in Italia il genere horror fatica tanto a incontrare il pubblico, se fino agli anni '80 si vantava una tradizione invidiabile? Basti pensare a Bava, Fulci, Argento. Prova a formulare qualche ipotesi Bianchini, fresco di partecipazione alla tavola rotonda che il Premio Amidei ha dedicato all'horror indipendente: «La situazione da noi è critica. Il discorso degli investimenti non può essere un freno perché abbiamo ampiamente dimostrato che si possono fare delle cose anche senza grossi investimenti, eppure è quasi impossibile trovare una distribuzione nel circuito tradizionale, non si investe nei film di genere. La fantascienza e l'horror sono praticamente spariti. Ma forse si può sperare in qualche apertura. Il fatto che lo stesso Amidei dedichi una sezione all'horror, o che il Festival di Taormina o quello di Trento, ovvero realtà non tematiche, ci abbiano ospitato, fa sperare in un rinnovato interesse. Significa dare all'horror una dignità che si era persa».

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