Benedetti Michelangeli, il pianista che cercava la musica assoluta

Porsi come obiettivo la perfezione è un'ambizione da far girare la testa. Il sapiente non si illude, sa che non la troverà, ma si comporta 'come se' fosse possibile raggiungerla. Qui sta tutta la differenza tra chi è intimamente 'persuaso' e chi invece ha il tormento di un corridore insoddisfatto perché il traguardo non lo raggiungerà mai. Quella di Arturo Benedetti Michelangeli, uno dei più grande pianisti del Novecento, di cui quest'anno ricorre il centenario della nascita, è stata una corsa a perdifiato che si è giovata di talento, disciplina, intransigenza ma che è stata spinta, o meglio incalzata, dal “Demone della perfezione” (Neri Pozza, pagg., 141, 16,50 euro). come titola il libro a lui dedicato da Roberto Cotroneo. Intorno alla figura di un pianista che molto assomigliava a Benedetti Michelangeli, Cotroneo aveva costruito il suo primo romanzo, 'Presto con fuoco', uscito nel 1996. Nuovamente intrecciando musica e letteratura, una decina di anni Cotroneo aveva pubblicato un romanzo su Chet Baker, e ora torna a occuparsi di Benedetti Michelangeli con questo saggio obliquo, in cui la biografia del pianista si dilata fino a diventare una muta e amara riflessione sul tempo presente: "Quanti oggi riescono a capire la musica classica? Quanto abbiamo perso in questi trent'anni di velocità?". Scegliendo come guida il pianista che cerca la perfezione, Cotroneo guarda all'aristocrazia del pudore, all'asciuttezza della ricerca lucida e precisa, mai esausta, impersonata da ABM. Lentezza, rigore: Benedetti Michelangeli fu inattuale, affondato com'era nell'Ottocento, con Schumann, Ravel, Chopin e Debussy che rappresentavano il suo sentire profondo. Si dichiarava monarchico, rifiutò otto lauree honoris causa, aveva un debole per l'aristocrazia e una profonda religiosità: immaginate cosa poteva significare, si chiede Cotroneo, dalla seconda metà degli anni Sessanta e per tutti i Settanta una cosa del genere. Ragazzo prodigio, a sei anni già stupiva per il carattere: "Questo eccezionale allievo, riportava il Giornale di Brescia dopo una sua esibizione, aveva mostrato con indignazione a sua madre, rea di aver osato sollevarlo sullo sgabello, che poteva cavaresela da solo". Nasce una favola potente e lieve. Tecnica inarrivabile e dote naturale che gli rendeva le cose ancora più semplici unite a quel suo voler entrare nella musica sempre più in profondità, con una concentrazione assoluta. Nel 1939 ha diciannove anni quando Alfred Cortot, una leggenda del pianismo, gli regala una foto con dedica ed esclama 'è nato un nuovo Liszt'. Algido e distaccato ma altrettanto passionale; cristallino, forse addirittura troppo, tanto qualche musicologo lo accusava di eccessiva nitidezza e freddezza nell'interpretazione. Era fatto di contrasti, capace di cancellare un concerto poco prima dell'inizio perché l'acustica non lo convinceva, o di non ripresentarsi al piano dopo l'intervallo; agli applausi del pubblico non sorrideva mai perché riteneva che andassero a chi le musiche le aveva scritte e non all'interprete. Sembrava un monaco, un asceta eppure amava la tavola e in compagnia era amabile e scherzoso. Aveva una passione per la velocità e le macchine sportive. Guidava una Ferrari, comprata di seconda mano, in modo spericolato e chi lo ebbe come pilota racconta di viaggi paurosi. ABM non fu un uomo perfetto, conclude Cotroneo, ma il genio lo vedi nel rovescio della stoffa. Incongruenze, piccoli difetti, appigli affinché la sua grandezza si possa mostrare nella sua vera forza. Differenze: Glenn Gould a un certo punto aveva scelto solo la via dell'incisione, ABM diffidava delle registrazioni. Idiosincrasie: tanto ABM era perfetto quanto Horowitz era spavaldamente imperfetto; tanto l'esule russo era brillante, spiritoso e cosmopolita quanto l'italiano era goffo impacciato appena lontano dallo Stenway. I pianisti, tutti soli nel modo di suonare, tutti numeri primi. —
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