Benedetta Barzini racconta come in un film un figlio può liberarsi della propria madre
TRIESTE «È tutta la vita che fotografo e filmo mia madre senza sapere perché. È stata la mia prima modella, la mia preferita. Quando mi ha detto che aveva deciso di andarsene e di non tornare mai più, ho capito che non ero pronto per lasciarla andare». Inizia da qui il dialogo tra un figlio, Beniamino Barrese, classe ’86, regista, e sua madre, Benedetta Barzini, 76 anni, un passato da top model – anche se ancora oggi sfila per i grandi della moda -, musa di Ugo Mulas, per dirne uno, apparsa sulla prima copertina di “Vogue Italia”, ma pure docente, femminista e giornalista. Questa conversazione è un lungometraggio per lasciare una memoria scalfita nel futuro. Una memoria che in qualche modo rimarrà impressa a tutti con “La scomparsa di mia madre”: il primo film di Beniamino Barrese è arrivato anche a Trieste, ieri sera, al Cinema Ariston. Lui, milanese, che ha studiato anche Filosofia ed Economia politica, direttore della fotografia, regista e fotografo non c’era: è in Brasile.
Quando può, gira la tournée con lei, Benedetta, che invece sì, c’era, accanto a Barbara Franchin, fondatrice e direttrice di International Talent Support: la piattaforma che individua i migliori giovani creativi provenienti da tutto il mondo ha promosso e sostenuto a Trieste il film nella serata organizzata in collaborazione con La Cappella Underground, introdotta da Gianluca Guerra. «È stata lei ad aiutarmi a essere un umano ‘auto-portante’, cioè a farmi capire che ero capace di fare, viaggiare da sola – dice Franchin, presentando Benedetta Barzini e il film -. Benedetta ha molto in comune con Trieste: scontrosa e dolcissima, restia a parlare in pubblico, a molte cose, una persona di una vitalità e una vita unica. Questo spaccato che vedrete stasera vi farà bene». Si alza dal suo posto di scatto e corre la protagonista di “La scomparsa di mia madre”, quando viene chiamata davanti al pubblico. «Vi saluto con molto affetto, ho un rapporto forte con Trieste – dice -, con cui nell’animo condivido molte sofferenze e difficoltà. L’amo. Pur amando Trieste, voglio però scomparire: è in parte la morte del desiderio di apparire ed è inoltre il desiderio di lasciare tutto il mondo che ho conosciuto fino ad adesso, per andare incontro all’ignoto. Ho un figlio molto sensibile e speciale, perché ha saputo dividere la madre dall’essere umano».
E racconta come è nato il film. «Da persona a persona, Ben ha voluto capire perché voglio andare via – spiega -, a differenza delle altre persone che invece se ne andavano via sbattendo la porta. Questo film nasce dalla voglia di mio figlio di liberarsi di me, una cosa omeopatica, si era invaghito molto del mio passato da modella e facendo questo lavoro credo abbia digerito sua madre. Mi ha costretto a accettare di fare il film: perché non si dice mai di no a un figlio. Ci vediamo dopo per le domande, per stare un po’ assieme».
Le luci si spengono. “Che cosa vuoi sapere?”, chiede Benedetta a suo figlio. Lui, telecamera in mano, le riprende le rughe, profondi solchi di saggezza fieramente presenti. Poi un occhio, azzurro e marrone, i capelli, grigi e bianchi. Beniamino vuole sapere in che cosa consiste quel progetto di cui negli ultimi anni ha sentito sua madre parlare: «Andare nel mondo contrario a quello che ho vissuto fino ad adesso», afferma lei. Benedetta aspira una sigaretta elettronica. «Tutto viene delegato alla fotografia e non alla memoria propria, a me interessano le cose che non si vedono, non quelle che si vedono». Il progetto di Benedetta è andare su un’isola in cui nessuno può arrivare «senza carta di credito, telefono, conto in banca». «Ti posso aiutare?», chiede Ben, come lo chiama lei. «Ad andare via? No», risponde. Una storia che incomincia a svelarsi, fino a simulare questa fuga da una società che a Benedetta non piace. Una fuga che si snoda lungo tutto il film, in cui emergono anche i litigi con il figlio. «Quando sentirò, me ne andrò», spiega a chi poi la vede nella sala dell’Ariston quando le luci di riaccendono. Non è un desiderio campato in aria. «Solo che è difficile la ricerca di un’isola perché non c’è posto sulla Terra che non è stato toccato dall’uomo bianco. E poi sto diventando anziana, devo prendere delle medicine, mi iniziano a far male le gambe…». Ci vuole coraggio? «Sì, ci vuole coraggio, soprattutto di dire basta, non voglio più sentire nessuno, nemmeno i tuoi cari». —
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo