Beatrice Fiorentino, prima donna alla SIC: «Film che toccano temi universali»

La giornalista triestina guida come delegata generale la Settimana della critica alla Mostra di Venezia. «Dopo il lockdown è cambiato il nostro modo di guardare»
Elisa Grando

TRIESTE Beatrice Fiorentino è pronta: a inizio settembre, alla Mostra del Cinema di Venezia, aprirà ufficialmente la 36° Settimana della Critica sotto la sua guida, prima donna della storia eletta Delegata Generale.

«Sono emozionata, molto», dice la critica e giornalista triestina. «Soprattutto sono ansiosa di lasciare tutta la scena ai film e ai registi al loro debutto. Il mio compito ora è solo quello di accompagnarli e affidarli al pubblico, che spero li amerà come li abbiamo amati noi». La pandemia ha segnato anche questo anno di cinema: la commissione selezionatrice ha lavorato su internet, senza poter andare ai festival. «Ci sembrava impossibile che l’atmosfera pesante del nostro presente non entrasse nella selezione. La domanda di base era: cosa chiediamo al cinema durante la pandemia? Com’è cambiato il nostro modo di guardare?».

La risposta sono sette opere prime e altrettanti cortometraggi in concorso provenienti da tutto il mondo, tra i quali il triestino “Freikörperkultur” di Alba Zari, e quattro eventi speciali, compreso un omaggio alla regista Valentina Pedicini, scomparsa lo scorso anno. E c’è una quota regionale anche nell’ufficio programmazione della SIC: da questa edizione sono entrati nella squadra Suomi Sponton, collaboratrice del Far East Film Festival di Udine, e Alessandro Gropplero, responsabile Relazioni internazionali del Fondo Fvg.

Fiorentino, quali sono i temi principali della selezione 2021?

«Nessuno dei lungometraggi scelti è stato girato durante o dopo la pandemia, ma tutti in una certa misura sono il riflesso di quello che abbiamo vissuto. Sono film diversissimi che riflettono però su temi universali: il senso della vita e della morte, le nuove coordinate dello spazio e del tempo, il corpo e i corpi, la distanza e la paura. Alcuni si rivolgono al passato per trovare risposte a un presente fragile».

C’è molto cinema di genere…

«Il genere ci piace e dava alla proposta varietà e una bella energia. Ci sono tre film di genere puro: il titolo di apertura “Karmalink” è fantascienza buddista cambogiana, diretta però da un regista americano, “Zalava” è una ghost story politica iraniana e poi c’è “Mondocane”, ambientato in una Taranto distopica. Sono film che parlano a tutti ma non rinunciano alle istanze politiche, come nella tradizione del cinema di genere».

In che senso oggi un film è “politico”?

«La politica è in tutto. Il cinema è politica. Lo sport è politica. Vaccinarsi o non vaccinarsi è politica. Il semplice stare al mondo ti obbliga ad avere una posizione. Possiamo chiamarli film politici o semplicemente film che hanno qualcosa da dire sul presente».

“Mondocane” con Alessandro Borghi, in particolare, è attesissimo…

«Ha intuizioni molto potenti, come la Taranto del futuro, con l’Ilva sullo sfondo, la crisi climatica che ha preso il sopravvento. Ci piaceva l’idea di un film molto anni ’70 a partire dal titolo, che guarda a un vasto universo cinematografico, da Carpenter a “Il signore delle mosche”, fino al cinema italiano di serie B, alla Sergio Martino. In più è prodotto da Matteo Rovere, un regista e produttore che sta smuovendo le acque in Italia».

Perché avete scelto l’immagine di un abbraccio per il poster ufficiale della SIC?

«È uno scatto rubato durante la proiezione di un nostro film nel 2016, che poi abbiamo rielaborato con il fumettista Mauro Uzzeo, il grafico Fabrizio Verrocchi e l’illustratore Emiliano Mammucari. È il simbolo dell’aspetto insostituibile della sala e del festival, cioè l’abbraccio di una comunità, la condivisione di un sogno. Con l’augurio di ritrovarci in quell’abbraccio e di non perderlo più».

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