Beatbox Beatles, non solo una "tribute band"
In pochissimi anni sono diventati una delle “tribute band” dei Beatles più apprezzate e richieste a livello europeo. Stiamo parlando dei Beatbox Beatles, che arrivano per la prima volta a Trieste per il Barcolana Festival. Saranno in piazza Unità domani, ad aprire la serata che poi prevede il concerto di Jack Savoretti; sabato è invece previsto lo show di Mario Biondi.
«Tutto è nato nel 2010 - ricorda Mauro Sposito, che nel gruppo è John Lennon -, io e Alfio Vitanza (Ringo Starr) eravamo in Messico, in tour con i New Trolls. Nell’albergo nel quale alloggiavamo suonava una “tribute band” dei Beatles, che ci ha letteralmente folgorati. Gli strumenti, gli amplificatori, gli abiti, il taglio di capelli, ma soprattutto le atmosfere: sembrava veramente di essere tornati agli anni, alla magica epopea dei Fab Four...».
Tornati in Italia, i due musicisti - ovviamente fan dei quattro da tempi non sospetti - hanno mollato De Scalzi e Di Palo alle loro diatribe con gli altri ex New Trolls (l’eredità del nome dello storico gruppo è finita in tribunale...) e si sono messi al lavoro. Innanzitutto hanno trovato altri due amici e colleghi per portare avanti il progetto: Riccardo Bagnoli («che per interpretare il ruolo di Paul McCartney è addirittura diventato mancino...») e Guido Cinelli (George Harrison) sono sembrati le persone giuste. Poi il lavoro di preparazione, non solo musicale, del progetto.
«Sono passati solo quattro anni - prosegue Lennon/Sposito - e devo dire che le cose sono andate piuttosto in fretta. Abbiamo suonato in mezza Europa: Germania, Romania, Russia, ma anche in Giappone. Ovunque il pubblico apprezza molto il rigore direi quasi filologico con cui riproponiamo la leggenda dei quattro di Liverpool».
«A Trieste - dice ancora il musicista - proponiamo lo spettacolo con cui abbiamo debuttato pochi mesi fa al Teatro Nuovo, a Milano. Sei cambi di scena, e fra un cambio e l’altro anche alcuni filmati, fra cui le “schegge” dedicate a Peppino Di Capri, che aprì gli unici concerti italiani dei Fab Four, e a Pete Best, il cosiddetto quinto Beatle». Fra i brani proposti: “Twist and shout” e “She loves you”, “A hard day’s night” e “Yesterday”, “Help!” e “Michelle”, “Sgt. Pepper Lonely Hearts Club Band” e “Lucy in the sky with Diamonds”, “Let it be” e “Get back”.
Nello show, nulla è lasciato al caso. A cominciare proprio dagli abiti, uguali a quelli usati dai quattro negli anni della loro fulminante carriera. Si comincia dai semplici abiti neri, poi le famose giacche usate nel leggendario concerto americano allo Shea Stadium, per continuare con i vestiti colorati e psichedelici di “Sgt. Pepper”, fino ad arrivare al periodo della famosa copertina di Abbey Road nella quale i Beatles attraversavano quelle strisce pedonali, con McCartney a piedi nudi, diventate dal quel momento storiche.
«Gli strumenti che usiamo sono gli stessi che usavano i Fab Four, ma non basta. Abbiamo accuratamente risentito i brani e studiato tutti i minimi particolare strumentali e vocali. Gli abiti originali (acquistati in America dalla stessa sartoria che li fece per loro durante il primo tour americano), i capelli, gli stivaletti e le movenze, hanno fatto il resto».
Conclude Lennon/Sposito: «Apriamo con i brani dei tempi del Cavern. Chiudiamo con “Hey Jude”. In mezzo ci sono otto anni di classici che hanno cambiato la storia della musica. E non solo...». Quel che è venuto fuori, e che vedremo a Trieste, è più di un semplice tributo ai Beatles. Forse è anche un atto d’amore.
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