Arpaia: «Vi racconto come vivremo l’incubo del surriscaldamento»

di Elisa Cozzarini
Città sommerse dall'acqua, paesaggi desertificati, alluvioni, siccità, scenari apocalittici fanno da sfondo ai libri di climate fiction, un genere letterario nato nell'ambito della fantascienza, oggi ormai diventato autonomo e molto popolare tra i lettori più giovani nel mondo anglosassone. La definizione è stata coniata dallo scrittore e giornalista nordamericano Dan Bloom nel 2007. Facendo adesso una ricerca su Amazon, si trovano oltre duemila titoli che rispondono alla classificazione di cli-fi.
Tra gli autori più noti, ci sono la canadese Margaret Atwood e l'inglese Ian McEwan. Costruiscono probabili mondi futuri da incubo, fanno vivere ai lettori l'esperienza di una vita quotidiana stravolta dalla catastrofe del surriscaldamento globale. Cercano di scuotere l'opinione pubblica e portare i governi a misure radicali per arrestare il cambiamento climatico. Tentano, con la letteratura, di fare la loro parte per salvare il pianeta.
In Italia, il primo a sposare il genere della climate fiction è Bruno Arpaia, scrittore, giornalista e traduttore di letteratura spagnola e sudamericana. Il suo prossimo romanzo, "Qualcosa, là fuori", che uscirà per Guanda ad aprile 2016, è ambientato in un'Italia completamente desertificata e in una Germania dove d'inverno la pioggia è incessante e d'estate manca l'acqua. Sentiamo che cosa ci racconta a proposito della scelta di questo filone letterario.
Bruno Arpaia, come si inseriscono gli scrittori di cli-fi in un dibattito pubblico dove c'è sempre poco spazio per i cambiamenti climatici?
«In "Solar", romanzo di Ian McEwan che rientra nella climate fiction, la compagna del protagonista dichiara che prendere sul serio il surriscaldamento globale significherebbe non pensare ad altro, per la gravità degli scenari che si configurano. Da un lato, quindi, è un argomento così terrificante che si fa fatica a parlarne. Il cambiamento climatico, a cui ora si aggiunge il terrorismo, rappresenta la grande paura della nostra epoca, come la bomba atomica è stata il terrore del Novecento. Ma dall'altro lato è un argomento poco presente nel dibattito pubblico, perché si fa fatica a trattarlo. Infatti, se il 99,5% degli scienziati concorda ormai che la causa dell'innalzamento della temperatura della Terra sia dovuta all'intervento dell'uomo, non ci sono strumenti che permettano una previsione chiara di ciò che accadrà. Molte variabili sono sconosciute, come i movimenti profondi dei mari, cose talmente grandi da sfuggire alla nostra comprensione. Ci sono, però, studi e modelli che permettono di immaginare un mondo probabile futuro. Rispetto alla fantascienza, quindi, la climate fiction costruisce contesti che potrebbero davvero verificarsi, si fonda su basi scientifiche. Leggendo, impari, entri in un mondo che potrebbe essere il nostro tra sessant'anni, se non si farà niente».
Oggi inizia a Parigi la 21.a Conferenza Onu sul clima. L'obiettivo dei 195 Stati presenti è raggiungere un accordo che permetta di limitare l'innalzamento della temperatura globale a 2°C. Ci sono molte aspettative attorno a questo appuntamento, cosa ne pensa?
«Mi auguro che si concluda un accordo ambizioso, ma sapp. iamo già che sarà al di sotto di quel che servirebbe per un cambiamento radicale. Molti scienziati ormai pensano che lo scenario delineato dagli esperti dell'Ipcc, il Gruppo intergovernativo dell'Onu, sia ottimistico. Per esempio non si tiene conto degli effetti dello scioglimento del permafrost, con la liberazione del metano, che è ventidue volte più riscaldante dell'anidride carbonica. Ecco perché il limite del surriscaldamento di 2°C appare arbitrario, una convenzione senza una base certa. Nessuno ci assicura che alcuni processi irreversibili non siano già iniziati. Molti scienziati prevedono che lo scioglimento dei ghiacci potrebbe portare a un innalzamento del livello dei mari dai 12 agli 80 metri, con un aumento delle temperature di 6°C nel 2100. Sottolineo che ciò potrebbe accadere se non si agisse da subito».
La letteratura può avere un peso nello smuovere le coscienze. Quale potrebbe essere la chiave del cambiamento?
«Nelle nostre democrazie, a tutti i livelli, dai governi degli Stati a quelli delle città, i politici non sono in grado di guardare a un orizzonte lontano, sono troppo concentrati a farsi rieleggere. Riconoscere l'urgenza di agire contro il cambiamento climatico, invece, significherebbe adottare misure drastiche, anche impopolari, che non porterebbero consensi a breve termine. È soprattutto in questo senso che la letteratura può avere un ruolo importante, facendo vivere l'esperienza di un universo stravolto al lettore. Sentendosi parte di una storia, si ha una percezione più precisa, più forte, di quello che potrebbe accadere. La conoscenza di questi scenari attraverso il nostro lato emozionale, che è il più impattante, può dare davvero una scossa all'opinione pubblica e portare a una pressione sui governi per l'adozione di misure lungimiranti, per evitare gli scenari peggiori».
Come ha costruito l'ambientazione del suo romanzo?
«È un mondo angosciante, ma realistico, che ho ricavato dalle previsioni degli scienziati. Tra sessanta, settant'anni, potrebbe davvero essere questo il futuro e una vita come la intendiamo noi oggi sarebbe possibile solo attorno al Circolo polare artico, in Scandinavia, Siberia, Groenlandia, Canada. Ho letto gli studi di James Hansen, uno dei guru del cambiamento climatico, tra i primi alla Nasa a prevedere i rischi del surriscaldamento del pianeta, e i documenti dell'Earth science department (Dipartimento di Scienza della Terra) dell'Università di Oxford. Questo libro è in continuità con la mia linea di scrivere romanzi che hanno al centro la scienza, un territorio affascinante, misterioso, avvincente per il lettore».
Mentre narrava queste vicende, si è immedesimato nei suoi personaggi, sentendo su di sé gli effetti del cambiamento climatico?
«Quando scrivi sei nella testa dei tuoi personaggi, dunque sì, mi sentivo angosciato, assetato, sognavo anch'io la salvezza, come loro. Scrivere è un processo in cui impari sempre qualcosa, è una scoperta. Ho visto le mangrovie dalle parti di Amburgo, passeggiando con uno dei miei personaggi, ho fatto l'esperienza di come potrebbe essere un mondo così. Per la prima volta ho scritto in un tempo compresso, soli tre mesi, mentre tutti gli altri miei libri hanno avuto una gestazione di anni. Sono partito da un'immagine che avevo in testa da vent'anni, di una grande migrazione, l'ho unita alle letture sul cambiamento climatico e mi sono immaginato questo mondo. Sentivo quest'esigenza, all'inizio non sapevo nemmeno che esistesse questo trend letterario. Perché è proprio vero, come dice il personaggio di "Solar", che il cambiamento climatico sembra qualcosa di troppo grande per pensarci, ma dopotutto è importante farlo».
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