Androna Campo Marzio, il delicato cuore storico della marineria triestina
TRIESTE La recente notizia (Il Piccolo dell’8 dicembre) della messa in vendita di due edifici inseriti nell’androna Campo Marzio, di proprietà della ditta Fadalti, ha riacceso i riflettori su uno dei luoghi storici della marineria triestina. Un’area che ha ospitato, a partire dal lontano 1837, una parte delle officine del Lloyd Austriaco, sorte su un terreno appartenuto al britannico John Iver Borland. In questa sezione delle officine, infatti, dopo un adeguato sbancamento, vide la luce il reparto riparazioni dei vascelli. Questo mini-quartiere industriale comprendeva officine, magazzini, depositi, botteghe artigianali e una fonderia con un’alta ciminiera. Intorno sorsero poi molte costruzioni, atte a contenere queste fasi dei lavori, con tettoie e spiazzi di stoccaggio dei materiali.
A distanza di tanto tempo l’androna si trova ancora miracolosamente intatta e ben conservata dal punto di vista architettonico. Negli ultimi vent’anni, poi, l’insediamento dell’Università (Dipartimento di Studi Umanistici) ha contribuito al restauro definitivo dell’ultimo edificio, di grande volumetria, che ospitava la fonderia, sito nella parte finale del vicolo. Chiunque s’inoltri su per l’androna Campo Marzio, infatti, non può non notare una serie di costruzioni ancora intatte. Sulla destra abbiamo ben cinque corpi di edificio architettonicamente interessanti (ora sede di attività private).
Questi edifici presentano strutture omogenee, non eccedendo i tre piani, con facciate elaborate in alcuni casi, con timpani decorativi, finestre simmetriche, quadrate o rotonde, e portoni ad arco. Sulla sinistra spiccano altri cinque edifici dal profilo più vario, che nel tempo sono stati soggetti a modifiche (diversamente da quelli del lato opposto). Tra di loro, oltre all’attuale sede del Dipartimento universitario, citiamo il grande deposito che presenta la scritta Siderurgica Commerciale e un magazzino molto capiente (entrambi interessati dalla vendita di cui si diceva all’inizio). Nel primo caso la forma originale prevedeva una struttura «scandita interamente da una maglia rettangolare di pilastri a croce supportanti i relativi archi incrociati» (cit. Studio architettonico sull’androna Campo Marzio, ricerca inedita dell’Università, opera di D. De Rosa, A. Fumaroli, E. Valcovich). Il tutto composto da grossi blocchi di arenaria, con al piano terra quattro portoni e al primo piano una fila di diciannove finestre. Nel secondo caso, invece, abbiamo una struttura progettata nel 1839 con ampi spazi interni composti da archi incrociati, in arenaria, e una copertura con travi di legno che poggiano su grandi pilastri centrali.
Per quanto ne sappiamo, la parte a destra dell’androna è vincolata dalla Sovrintendenza per le sue qualità storiche e architettoniche. Sulla parte sinistra, meno unitaria, non sono previsti vincoli, tant’è vero che sin dal 1976, con il Piano particolareggiato del centro storico del Comune di Trieste, era destinata a scomparire «per far posto a un intervento di edilizia economica popolare». In seguito, una quindicina di anni fa, quest’area è stata oggetto di mire edificatorie che hanno suscitato subito grandi perplessità. Infatti, appare molto evidente la criticità dell’androna, che ospita molte attività commerciali che si devono confrontare con l’alto afflusso di studenti dell’Università (a questo proposito si è anche provveduto all’asfaltatura del selciato, molto sconnesso). Del progetto di un alto condominio schiacciato fra quelle due quinte (progetto Impresa Luci) non se ne fece nulla in seguito anche a una rivolta popolare (fu definito “il cubone”), ma a questo punto, con la vendita dei due edifici adibiti a magazzino, la cosa potrebbe riproporsi. Del resto, è evidente che lì, in quel complesso delicato di edifici ottocenteschi vada ben monitorato un eventuale progetto di massiccio inserimento (ricordiamo che, agli inizi del 2000, un altro nuovo edificio nell’attigua via Santa Tecla sorse alienando i bagni pubblici austro-ungarici, che furono abbattuti). E ora speriamo che, ripartendo vecchie acquoline, non si parli di cementificare anche la zona Fadalti, con parcheggi e abitazioni private che guarderebbero direttamente sulle finestre delle aule universitarie, mentre il transito di decine e decine di auto in una zona al massimo della capienza porterebbe a un intasamento colossale, con gli studenti che già sopportano ristrettezze di ogni tipo mentre si recano nel loro luogo di studi (si pensi ai disabili). Insomma, un bel pasticcio, che rischia di complicare una situazione già precaria.
L’unica speranza, tenuto conto del pregresso, visto che possediamo i prospetti d’epoca di questi due edifici Fadalti, è che, in fase di nuova progettazione, si mantenga il fronte originario su due piani, in grado di fornire una serie di mini-appartamenti con ingresso e piano alto, a schiera. Per il secondo magazzino, invece occorrerebbe un’ipotesi di mantenimento, eseguendo una serie di adeguate “soppalcature”. Insomma, ci farebbe piacere, su questo delicato punto, un parere della Sovrintendenza, spesso restia a provvedimenti ad hoc. Un parere che tenga conto della presenza, in androna Campo Marzio, di un museo a cielo aperto dell’Arsenale: una ricchezza che si potrebbe addirittura rendere fruibile con adeguati supporti “a leggìo”.
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