Andrea Bosca: "Approfittiamo della quarantena per riscoprire i nostri demoni"
TRIESTE In tempi di quarantena i libri rappresentano le porte che non possiamo più attraversare fisicamente, ma servono anche come strumenti per interpretare un momento di cambiamento tanto radicale. Così la pensa Andrea Bosca, che fra le sue letture al tempo della pandemia affianca le poesie ai libri di psicanalisi. L’emergenza Coronavirus l’ha raggiunto in Spagna, dov’era sul set della serie internazionale per Amazon Prime “3 Caminos”, storia on the road di un gruppo di ragazzi sul cammino di Santiago. Da lì, tra le mille difficoltà logistiche del rientro, è volato intanto in Lussemburgo dove si è messo in quarantena volontaria anche se il paese non prevedeva ancora misure di isolamento obbligatorie: «È stata una scelta di responsabilità», dice. Andrea Bosca è nato in Piemonte, in provincia di Asti. Ed è proprio una suggestione letteraria ad averlo riportato alle sue origini. A gennaio ha debuttato in teatro con un monologo tratto da “La luna e i falò” di Cesare Pavese, suo conterraneo: l’attore viene da Canelli, a una manciata di chilometri da Santo Stefano Belbo, dov’era nato lo scrittore.
Bosca, però, si sente a casa da sempre anche a Trieste. Ha messo piede in città per la prima volta nel 2004, in tournée al Teatro Rossetti con “Il benessere” di Franco Brusati. Ed è stato proprio il capoluogo giuliano a tenere a battesimo il suo debutto al cinema, nel 2007, in “Amore, bugie e calcetto” di Luca Lucini, tutto girato a Trieste. Fra Piazza Unità e Cavana ha vissuto a lungo anche negli ultimi anni per girare le due stagioni della serie tv “La Porta Rossa”, nel ruolo di Jonas, e il film per la Rai “Mai scherzare con le stelle”, andato in onda a febbraio. «Ho scoperto nuovi angoli della città leggendo il libro di Mauro Covacich “Trieste sottosopra”: ci ho ritrovato molto la Trieste che ho vissuto, ma mi ha anche spinto a visitare zone meno conosciute. L’ho letto proprio durante le riprese di “La Porta Rossa”. E avevo portato lì con me anche alcuni libri del poeta Giorgio Caproni», racconta.
Andrea, cosa sta leggendo in questo periodo?
Ultimamente ho letto il romanzo “Volevo solo camminare” di Daniela Collu, che racconta proprio l’esperienza dell’autrice sul Cammino di Santiago: mi ha aiutato molto a entrare nell’atmosfera di “3 Caminos”. Con me, in valigia, poi è rimasto solo “La luna e i falò”.
Molti artisti, in questo momento di clausura collettiva, hanno deciso di continuare il dialogo con gli spettatori tramite i social media. Lei ha inaugurato delle dirette Instagram anche a tema letterario: perché?
Quando ho visto gli italiani fare una scelta dura come quella di chiudersi in casa ero ancora in Spagna sul set: mi sono chiesto cosa potevo fare per la mia gente. Ho capito che a qualcuno faceva piacere stare insieme, farsi compagnia anche virtualmente. E anche la cultura si stava fermando: era l’occasione giusta per tornare a darle importanza. Ho voluto prenderlo come un momento creativo per imparare qualcosa di nuovo: sono dirette nate spontaneamente dove raccolgo anche i suggerimenti di lettura delle persone che mi scrivono.
E lei, invece, che libro consiglia per affrontare la quarantena?
Suggerisco “Il codice dell’anima” di James Hillman, un libro che va a braccetto con “Ricordi, sogni, riflessioni” di Jung e può essere utile in questo momento in cui siamo alle prese sia con la paura collettiva, sia con il nostro inconscio che adesso sbatte da tutte le parti. Questa è la nostra prima vera occasione di stare fermi. In questa fase siamo costretti ad avere un rapporto con noi stessi: “Il codice dell’anima” è un grande aiuto per trasformare il disagio in una ricerca. Questo è un momento duro per tutti, anche se l’attore ha forse più mezzi per affrontare questa situazione di stasi perché fa un lavoro che prevede pause molto lunghe.
Quali sono i libri che hanno segnato di più la sua infanzia?
Tra i primi ci sono “Le avventure di Tom Sawyer e Huckleberry Finn” di Mark Twain, ma il libro che mi ha colpito di più da adolescente è stato “L’insostenibile leggere dell’essere” di Milan Kundera. Ho scoperto tardi i grandi russi, ho letto Dostoevskij a 22 anni. Ancora oggi “Delitto e castigo” è insuperabile per me, anche se all’epoca ero contraddittorio: accanto a Dostoevskij leggevo “Tropico del Cancro” e “Tropico del Capricorno” di Henry Miller, e poi Bukowski, Céline. Soprattutto la poesia mi ha appassionato molto. Sono sempre stato un fan sfegatato di Carmelo Bene e di tutto quello che ha toccato con la sua arte: i poeti russi li ho conosciuti attraverso la sua interpretazione.
Perché ha scelto di portare a teatro “La luna e i falò” di Cesare Pavese?
Perché parla della mia terra, è ambientato tra le mie colline. Il protagonista è uno dei personaggi che mi assomiglia di più ma, per certi versi, anche di meno in assoluto, perché lui era senza famiglia, se n’è andato, ha girato il mondo e a 40 anni è diventato qualcos’altro. Credo che nella scelta di questo libro ci sia anche un mio passaggio di maturità: attraverso il confronto con la perdita del personaggio si riesce a scovare una nuova necessità di vivere, né comoda né regalata. E poi Pavese apparitene alla lettura della mia famiglia, l’ho sentito vicino anche per quello. Mi ha tenuto compagnia quando non sempre mi sentivo a casa: in alcuni momenti ho avuto molta nostalgia delle mie origini. — © RIPRODUZIONE RISERVATA
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