Andra e Tatiana le bambine che tornarono da Auschwitz
«Noi siamo uscite da Auschwitz, altri sopravvissuti sono sempre rimasti lì. E noi balleremo davanti al lager insieme ai nostri figli e nipoti come ha fatto nel 2008 Adolek Kohn, anche lui sopravvissuto, sulle note di “J will survive” di Gloria Gaynor».
È stato un percorso lungo e doloroso quello che ha portato Andra e Tatiana Bucci a liberarsi da Auschwitz, un percorso segnato dai ritorni sui luoghi dell’orrore per spiegarlo a chi ha avuto la fortuna di non conoscerlo.
Questo percorso viene raccontato insieme alla loro prigionia da Andra e Tatiana nel libro “Noi, bambine ad Auschwitz”, sottotitolo “La nostra storia di sopravvissute alla Shoah”, edito da Mondadori (pagg. 160, euro 17), preceduto da una valida introduzione di Umberto Gentiloni Silveri che spiega il contesto nel quale si sviluppa la vicenda della sorelle Bucci e seguito da una utile cronologia curata da Marcello Pezzetti. Al centro la famiglia di Mira Perlow, mamma delle Bucci, che, fuggendo dai pogrom contro gli ebrei della Russia zarista, approda a Fiume all’epoca austro-ungarica. Qui Mira incontra Giovanni Bucci, marittimo, istriano, cattolico. I due si sposano, e anche la sorella di Mira, Gisella, sposa un cattolico, Eduardo De Simone, e va a vivere a Napoli, città del marito, dove nasce Sergio.
Nonostante Rosa Perlow fosse osservante e attaccata alla tradizione ebraica, accetta il matrimonio delle figlie, mentre la nonna Bucci non accetterà mai la nuora e non mostrerà affetto alle nipoti, neanche dopo il ritorno dal lager.
Le Bucci raccontano la loro vicenda per immagini, brevi flash, la narrazione è fatta con il noi anche se talora le impressioni sono diverse. D’altronde si tratta di due bambine di 4 e 6 anni che vivono la loro prigionia quasi con distacco, non sentono la paura, sentono fame, freddo, ma i cadaveri che vedono, Tatiana li chiama “le piramidi”, non le spaventano. Come subiscono il fumo, il puzzo acre, e non si stupiscono quando la mamma, che era riuscita ad andarle a trovare nel lager, dirà loro che non potrà ritornare.
Ma c’è un ricordo che ancora le angoscia: la spaventosa vicenda del loro cuginetto Sergio. Una blockova, una guardiana, che le aveva prese in simpatia, dice loro che l’indomani sarà chiesto di fare un passo avanti ai bambini che vogliono andare dalle mamme. E le avverte di non farlo. Lei sa che fine faranno quei bambini. Loro avvertono Sergio, che però se ne scorda e lo vedono partire. Sarà la cavia del dottor Kurt Heissmeyer, che torturerà venti piccoli in una scuola di Amburgo e, per far perdere le tracce dell’orrore, li farà impiccare ai ganci da macellaio, pochi giorni prima della liberazione della città. Heissmayer rischiava di restare impunito se un coraggioso giornalista tedesco, Günter Schwarberg insieme alla moglie Barbara, non avesse reso nota la vicenda.
I tedeschi, ammette Tatiana, che dopo sposata va a vivere a Bruxelles quindi vicino alla Germania, le facevano paura, ma proprio l’incontro con Schwarberg e con altri che diventano amici le fa superare la diffidenza: è un gradino verso la liberazione dalla Auschwitz che i sopravvissuti si portano dentro, gli altri gradini sono parlarne con i mariti, con i figli e poi pubblicamente.
La strada della testimonianza comincia quasi per caso con un’intervista alla Bbc e poi con gli incontri con i giovani e i viaggi della Memoria: «Gli ultimi anni nei quali abbiamo scelto di testimoniare la nostra vicenda, sono stati cruciali: ci hanno permesso di recuperare un pezzo della nostra storia, di capire meglio la famiglia e la mamma e, allo stesso tempo, di essere utili agli altri». E proseguono: «Il nostro rapporto con Auschwitz non è stato semplice. Andra, per esempio lo sente molto profondo; certo, non dice di pensarci ventiquattro ore su ventiquattro, altrimenti diventerebbe matta. Ma il ricordo per lei è una presenza costante». Tati, con il gusto del paradosso, afferma di sentirsi libera di dire che «non tutti i giorni è il 27 gennaio (il giorno della Memoria della Shoah, ndr) perché altrimenti la vita sarebbe insostenibile».
Leggendo le pagine del libro, pare di sentire le voci delle due bambine narrare. L’orrore senza fine che sono riuscite, in modo diverso, a superare, e di cui riescono a fare monito e lezione alle nuove generazioni. —
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