Anche Hannah Arendt cadde nella trappola aspettando il segnale di Martin Heidegger

Neppure Simone de Beauvoir ne fu immune. Anticonformista e autrice del manifesto del femminismo “Il secondo sesso” (1949), quando si innamorò di Nelson Algren scivolò in una certa confusione. «Oh Nelson! – gli scrisse – Sarò gentile, sarò buona, vedrai, laverò i pavimenti, cucinerò sempre io, scriverò il tuo libro mentre scrivo il mio».
Con “C’era una volta l’amore. Brevi lezioni per innamorarsi con filosofia” (Einaudi, pagg. 159, euro 13,50) Vittoria Baruffaldi, professoressa torinese di filosofia e storia, accompagna il lettore in un originale viaggio nei meandri del sentimento più invocato. Intrecciando grattacapi di una donna dei giorni nostri con sventure ed entusiasmi vissuti da alcuni dei più noti filosofi della storia, l’autrice rassicura: l’amore è irrazionale, per tutti.
Le “brevi lezioni” iniziano ricordando lo sguardo amorevole dei genitori e la scoperta di altri sguardi importanti, ma forse meno assoluti. Proseguono con il racconto dei tempi del liceo, quando «vuoi piacere a tutti» e «non mangi, non dormi; credi nell’amore», finendo preda dello struggimento, tra «canzoni in loop, Sturm und Drang, fogli inzuppati di lacrime».
Avviene un po’ quello che era successo a Eloisa, con il suo amore frantumato per Abelardo, rimasto colpito «dall’idea della ragazzina colta e smarrita» che poi abbandonò. Anche Eloisa fu costretta ad attraversare le fasi che scandiscono la fine del primo amore: «il dolore, la rabbia, la rassegnazione. Eppure le pareva di non riuscire a togliersi di dosso il languore: era come un secondo velo che le ingabbiava l’anima». Ma può succedere di innamorarsi ancora e di scegliere una via, nonostante la presenza di alcuni segnali contrari, perché «tutto non si può avere e così si opta per un tipo di vita». Inizia a scorrere così una quotidianità fatta di abitudine, quella che David Hume definiva “una dolce forza”. «Cos’è il matrimonio? – ci si chiede – Un deterrente, una sistemazione, un’alleanza, un’opposizione all’amore liquido?».
Capitolo dopo capitolo, presente e passato si confrontano e sembrano assomigliarsi molto. Anche se, come ricorda l’autrice, i grandi pensatori di allora non potevano nemmeno sbirciare i profili Facebook. «Non finirò mai a fare l’amante. Non finirò mai a fare la moglie che sa di essere cornuta. Non finirò mai a non fare sesso per mesi», sono alcuni dei mantra “disattesi” nei quali in molti potranno ritrovarsi.
Ma ci si può rincuorare quando si scopre che Hannah Arendt attendeva dalla strada il segnale di Martin Heidegger, con cui aveva una storia segreta: lui spegneva la lampada e lei poteva raggiungerlo nella sua stanza. O quando si legge che Simone de Beauvoir e Jean Paul Sartre erano una coppia aperta e il loro era un amore necessario, mentre gli altri erano «contingenti». O, ancora, ci si può stupire sapendo che per Lou Salomé bisognava «osare tutto e non aver bisogno di niente» e che giunse vergine, a trentatré anni, al matrimonio (in bianco) con Carls Andres. Di lei si innamorarono anche Paul Rée e Friedrich Nietzsche: «Ma lei sapeva benissimo cosa fare: rifiutare con gentilezza, fingere di non aver capito, accampare scuse». Fu solo con Reiner Maria Rilke che Lou si lasciò andare al sentimento più profondo.
Infine, oggi come ieri, può arrivare la rottura. «La verità – puntualizza l’autrice – è che non rimane nulla dopo la fine di un amore. È la repentinità con cui finisce a suggerirlo». La narrazione di Baruffaldi, a tratti, può lasciare (efficacemente) sbigottiti. Fino a regalare un suggerimento: con l’amore ci si può anche ritrovare, e non solo perdere, se si riesce a vivere «questa cosa rarissima di sentirsi se stessi all’interno di una relazione». Come ammise la Arendt parlando di Heinrich Blücher, il suo secondo marito: «Mi sembrava ancora impossibile aver ottenuto le due cose cui anelavo, il grande amore e insieme la mia identità di persona». —
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