Anche Bukowski vedeva la libertà nell’ozio dei gatti

di MARY B. TOLUSSO
Da Rodari a Szymborska. I gatti sono stati celebrati da generazioni di poeti. E d'altra parte sono belli, eleganti, liberi. Più di un autore ha confessato la sua dipendenza da questa specie felina, per la loro raffinatezza in punta di zampe. Tra questi c'è senz'altro Bukowski, per lui erano emblema di bellezza, ma non solo. Dai gatti si impara a vivere, scriveva il poeta americano. Lo si può leggere nell'antologia "Sui Gatti" (Guanda, pag. 159, euro 14,00), che raccoglie poesie e prose di Bukowski sull'argomento. C'è tutta una storia nell'evocazione di pregi e difetti di queste piccole belve selvatiche, che poi altro non è che la storia di Hank. Gatti un po' strambi, con le ossa spezzate e qualche proiettile sotto pelle, ma sempre dignitosi, regali, come lo è chi non mendica pietà da nessuno. Soprattutto il poeta ne ammira la saggezza “perché loro sanno che tutto semplicemente è com'è. Non vale la pena scaldarsi”. Emblema di estetica, ma soprattutto di libertà, in qualche modo agevolata per chi sa “scivolare nello spazio senza attrito”. Altra faccenda è l'umano, ci dice Bukowski, dove le cose iniziano a perdere il loro valore naturale.
Chi aderisce bene a questa psicologia è pure Christian Delorenzo, curatore di "Gatti. I racconti più belli" (Einaudi, pag. 328, euro 17,00). Siamo di fronte a testi classici: Lessing, Pirandello, Zola, Kipling, solo per fare alcuni nomi. Sarà perché, come scrive Mauro Bersani in prefazione, il gatto ha animato con forza quel mondo di sogni che è la letteratura. Ci sono gatti anarchici, filosofi, teneri e, perché no, gatti molto vendicativi. Ciò che seduce, grazie al talento degli autori proposti, è la capacità di unire i contrasti: liberi ma fedeli, gotici ma tenerissimi, vendicativi ma giusti. Il gatto è tutto questo. Edonisti e dediti all'ozio, veri eroi del godimento. Ce lo spiega bene Taine descrivendoci la felicità di un gatto che sonnecchia d'estate accanto a uno stagno "e siccome non si pensa a nulla, nulla si desidera". Dei veri filosofi. Al contrario Zola nel suo "Paradiso dei gatti" ce ne rifila uno piuttosto irreale, un gatto che, dopo aver assaggiato la libertà, decide di venderla e farsi rinchiudere in una casa per un po' di carne. La metafora è chiara e infatti il grande autore si affretta a dire: "Parlo per i gatti, naturalmente". Sussulterete un po' con i gatti neri di Edgar Allan Poe, mentre si trae gratificazione da quello di Stuart Greene: mai fare cattiverie a un gatto, saprà come sbarazzarsi di voi.
D'altra parte questi incantevoli animali con tutta probabilità non si sono ancora liberati dall'istinto di superiorità, ricordiamoci che per molti popoli erano degli dei. Talmente perfetti da essere eleganti anche mentre ti infliggono la morte, lo racconta l'eccellenza Conan Doyle. Ma il più bel racconto è senz'altro "Vita di due gatte" di Pierre Loti, proustiano nel dettato, lirico nel ricordo. Chiunque abbia vissuto con un gatto, e l'abbia perso, aderirà totalmente a questa storia che ci dice con perfezione il loro sguardo sulle cose, come amano, come ci sono grati. E quanto riescano ad amarli solo le persone libere.
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