Amelio: «Mio figlio me l’ha dato suo padre»

Un ragazzo biondo che sorride alla macchina da presa nell’ultima inquadratura del film “Lamerica”. Un sorriso di speranza. Quando ha girato quella scena, nel 1993, Gianni Amelio non sapeva ancora che quel ragazzo sarebbe diventato suo figlio. Il regista l’ha adottato qualche anno dopo, già maggiorenne, e ora racconta l’avventura di questa sua paternità inaspettata nell’emozionante romanzo “Padre quotidiano”, edito da Mondadori (pagg. 157, euro 18,00). I nomi sono cambiati ma la storia è tutta vera, dall’arrivo di Amelio nell’Albania poverissima di inizio anni ’90 per le riprese di “Lamerica” all’incontro con un uomo del posto, Ethem, che arrivò a fargli una proposta sconcertante di sacrificio e amore: adottare suo figlio Arben, portarlo in Italia, assicurargli un futuro.
Col libro il regista, Leone d’Oro a Venezia nel 1998 per “Così ridevano”, rivela un nuovo aspetto della sua vita privata dopo aver parlato apertamente della sua omosessualità presentando il documentario “Felice chi è diverso”, nel 2014. Nei prossimi mesi sarà impegnato nelle riprese del suo nuovo film “Hammamet”, produzione Rai Cinema per ora top secret, sugli ultimi anni di vita del leader socialista Bettino Craxi.
Amelio, il suo cinema è abitato da figure di padri veri o vicari, dal poliziotto di “Il ladro di bambini” al papà del ragazzino disabile in “Le chiavi di casa”, fino al padre inadeguato di “La tenerezza”. Perché?
«Perché sono cresciuto orfano, in una situazione ancora più traumatica di un orfano vero. Un padre lo avevo, era emigrato in Argentina, e pensavo che si fosse dimenticato di me. È diventato una figura ingombrante nella sua assenza. Sono cresciuto con il bisogno di un padre».
Come ha inciso questo sentimento sul suo essere padre a sua volta?
«Come racconto in un capitolo del libro, quando è morto mio papà mi sono detto: quando diventerò padre anch’io non sarò come lui, ma accompagnerò quotidianamente l’altra persona. Questo mi ha guidato da quando Ethem, il padre naturale di mio figlio, mi ha detto: “Fino a oggi è stato figlio mio. Da domani sarà figlio tuo”. Ha voluto scegliere qualcuno che prendesse il suo posto quando lui, molto malato, non ce l’avrebbe più fatta».
Ethem, insomma, è il vero motore della sua paternità…
«Ha fatto un gesto d’amore che a me da ragazzo è mancato, perché ho sempre avuto la sensazione che mio padre invece non badasse al mio avvenire. Privarsi del proprio figlio per dargli un futuro credo sia il massimo sacrificio per un uomo».
Adottare da single un ragazzo maggiorenne era una bella scommessa. Qualcuno aveva provato a dissuaderla?
«Molti parenti e amici mi hanno messo in guardia, dicendo che quando si adotta un maggiorenne non gli si dà una famiglia, ma un’eredità. Dicevano che è il sangue che conta. Tutte baggianate. Nella vita contano i legami coltivati giorno per giorno, per questo il titolo “Padre quotidiano”. Senza quella richiesta espressa da Ethem forse non sarei arrivato all’adozione legale, ma le perplessità sono diventate più deboli quando ho capito il carattere di Arben, un ragazzo rispettoso, solare, con i piedi per terra e con un’anima. Non l’ho separato dalla sua famiglia: ho fatto venire regolarmente a Roma anche la madre e il padre naturali. Ho pensato di inserirmi in una famiglia che già esisteva».
Insomma, è quasi questa famiglia che ha adottato lei…
«Sì: la mamma di mio figlio, Life, è partita da Roma il giorno dopo Pasquetta. Da molti anni passa tutto l’inverno a casa mia. E quasi ogni anno io passo un mese a casa di Life, che chiamo “casa nostra”, in Albania».
E così è diventato anche nonno…
«Arben è sposato da tanti anni e ho tre nipoti: mi considerano un nonno vero perché sono quello che le ha sempre guidate, accompagnate a scuola. Mia nuora è polacca: gli altri nonni sono lontani. La mia nipote più grande ha 14 anni: sul suo primo fidanzato è venuta a confidarsi prima con me che con i genitori».©RIPRODUZIONE RISERVATA
Riproduzione riservata © Il Piccolo