Ambra Angiolini a Trieste: «So come combattere la Guerra dei Roses»

TRIESTE Il suo viso è già sui cartelloni di tutta la città: Ambra Angiolini torna a Trieste, in scena al Teatro Orazio Bobbio da questa sera al 3 febbraio (la replica del 4 febbraio è anticipata a domenica 3 alle 20.30, su richiesta della compagnia teatrale) in “La Guerra dei Roses”, accanto a Matteo Cremon e diretta da Filippo Dini. La pièce, ispirata al libro di Warren Adler dal quale nel 1989 è stato tratto anche il celebre film di Danny DeVito con Kathleen Turner e Michael Douglas, racconta il divorzio al vetriolo dei coniugi Barbara e Oliver Rose, e vede nel cast anche Massimo Cagnina ed Emanuele Guaina. Ambra torna dunque in città dopo averci abitato per quasi cinque mesi, la scorsa estate, per girare con Giorgio Pasotti la sua prima serie tv, “Il silenzio dell’acqua”, che andrà in onda dal 10 marzo su Canale 5. «La dimensione di Trieste mi ha ricordato casa: un periodo lungo e piacevole», afferma l’attrice.
Il libro di Adler è degli anni ’8: perché “La guerra dei Roses” è ancora attuale?
«Perché - riponde Ambra Angiolini - alcune dinamiche di coppia non invecchiano mai. Quando uno cambia un tassello nella routine quotidiana, l’altro trema. La scelta è accettare la novità e farsi plasmare entrambi da queste correnti nuove, oppure rimanere convinti che le cose non debbano cambiare, e far esplodere la coppia».
Da cosa ha attinto per costruire la sua Barbara?
«Ho dovuto prendere a modello almeno quattro donne diverse perché Barbara cambia ad ogni segmento: all’inizio è un’adolescente innamorata, poi una donna che accetta la condizione borghese, poi una via di mezzo impazzita tra quello che sta per diventare e quello che è ancora, infine una Barbara emancipata convinta di poter scalare il mondo con la sua impresa di catering. Ho attinto a tutto quello che ho vissuto e visto, mia madre, mia sorella, le mie amiche, la donna manager».
Lei lavora tra televisione, cinema e teatro: dove si sente più a suo agio?
«Non in un solo posto: li frequento tutti perché ho bisogno che mi tolgano dalla testa l’idea di avercela fatta. Funziono così. Il teatro per me è una terapia per prendere distacco da se stessi: entrare nei panni di qualcun altro ti abitua ad essere accogliente con i difetti e i pregi delle persone». —
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