Alla fine nessun terrorista pagò per il “Grande fuoco” di Trieste

Giuliano Sadar ricostruisce in un volume edito da MgsPress la storia e i retroscena dell’attentato del 1972 all’oleodotto firmato da Settembre Nero

Molti triestini ricorderanno la mattina del 4 agosto 1972 quando, affacciandosi alla finestra, videro il cielo sopra la città oscurato da due enormi colonne di fumo simili a un fungo atomico. Sono passati 43 anni, e l’attentato di Settembre nero al deposito costiero della Siot è finito negli archivi della memoria come uno di quei momenti in cui la grande storia inciampa nella piccola città di confine, città che per altro che con la storia ha sempre mantenuto conti aperti. Un fatto in fondo marginale, qualcosa che comunque andava oltre Trieste, anche se connotava un ruolo - allora - strategico per il capoluogo.

Dopo quattro anni di indagini, per quell’ attentato verranno condannati in contumacia a 22 anni di carcere ciascuno per concorso in strage due donne francesi, Dominique Jurilli e Marie Therese Lefebvre, insieme all’algerino Chabane Kadem. La mente del gruppo di fuoco, Mohamed Boudia, invece, sarà ucciso un anno dopo l’attentato dal Mossad. Nessuno dei condannati scontò mai un giorno di carcere, anche perché - forse pochi lo ricordano - in appello una clamorosa sentenza ridusse le pene da 22 a sei anni, assolvendo tutti i terroristi dal reato di associazione a delinquere e derubricando l’accusa di strage in “incendio doloso”.

Ecco, è qui, a partire da questa sentenza, che l’attentato di Trieste esce dai cassetti delle memorie “a latere” per diventare cifra esemplare e punto di snodo di una verità storica che allunga i suoi riflessi fino ai nostri giorni, e illumina l’antica consuetidine dei governi e della politica italiana di scendere a patti con terrorismo e criminalità pur avere vita facile e, soprattutto, conservare il potere anche a scapito degli interessi del Paese.

L’attentato alla Siot, in definitiva, è una delle tante «storie di terrorismi sempre condannati, ma da sempre concreto strumento di politica internazionale». È questa la conclusione cui giunge Giuliano Sadar nel suo documentato e appassionante libro “Il grande fuoco - 4 agosto 1972: l’attentato all’oleodotto di Trieste” (MgsPress, pagg. 230, euro 18,00).

Il libro sarà presentato martedì 28 aprile, alle 17.30, alla Libreria Lovat di Trieste(Viale XX Settembre 20) da Fabio Amodeo e Ranieri Ponis, presenti il Procuratore capo al Tribunale di Trieste Carlo Mastelloni e il magistrato Rosario Priore, oltre all’autore.

E proprio Rosario Priore, nell’introduzione al volume, ricorda che, «vista da Oriente, in particolare da quel Medio Oriente in ebollizione per la questione palestinese, Trieste era il luogo ideale da colpire». E così accadde, con modalità e in un contesto che Sadar ricostruisce nel dettaglio, ampliando lo sguardo ben oltre i confini del Nord-Est, e in anni in cui il terrorismo in Europa e nel mondo era così diffuso, radicato, efficace da far quasi apparire i fanatici dell’Isis dei dilettanti. I collegamenti fra settembre nero, Avanguardia nazionale, la banda Baader-Meinhof, l’eversione di destra e di sinistra: era un intreccio fitto, e fruttifero, orbitante - ieri come oggi - intorno al buco nero del petrolio, «vero e solo protagonista . di questa storia», nota Sadar.

Una minaccia costante di fronte alla quale l’Italia scese a patti, varando il Lodo Moro, il patto segreto - firmato appunto da Moro - fra i nostri servizi segreti e i terroristi palestinesi, che dava agli islamici il via libera per far passare attraverso il nostro Paese quintali di armi destinate a cellule terroriste sparse in tutto il continente e, in aggiunta, garantiva la liberazione dei prigionieri palestinesi. In cambio, i terroristi non avrebbero colpito gli italiani, ebrei a parte. “Il grande fuoco” racconta tutto questo, e altro ancora, gettando uno sguardo inquietante su un momento di svolta della storia d’Italia.

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