Alessio Boni legge lettere di soldati. In “Kobarid” tutto l’orrore del fronte

TRIESTE I ragazzi che morirono a migliaia sulle montagne di Caporetto durante la prima guerra mondiale, e i ragazzi di oggi, quelli che si impegnano anima e corpo per realizzare un sogno. L’attore Alessio Boni riflette su entrambi nei suoi due ultimi, diversissimi lavori: il documentario “Kobarid” di Christian Carmosino, che sarà presentato il 20 gennaio in concorso al Trieste Film Festival, e la serie tv “La compagnia del cigno” di Ivan Cotroneo, in onda da domani in prima serata su Raiuno, a un anno di distanza dal grande successo de “La strada di casa”, sempre per RaiUno con la regia di Riccardo Donna.
Nella fiction “La compagnia del cinema”, interpretata anche da Anna Valle e dal cantante Mika, Boni veste i panni di un insegnante di musica, con tanto di bacchetta da direttore d’orchestra, al conservatorio Verdi di Milano: «La cosa più bella di questa serie è il messaggio che lancia: non esistono solo i ragazzi “sdraiati”, senza una passione, che racconta Michele Serra. Se ben guidati dalla famiglia e dalla scuola, i giovani sanno impegnarsi per i loro sogni con volontà e forza d’animo, come fanno i musicisti protagonisti della serie. Anche questa è la nostra Italia, la nostra nuova gioventù. E di loro non si parla mai». E, a proposito dei giovani collegni, aggiunge: «Mi sono trovato benissimo, si sono dati anima e corpo, loro sono l'anima del quadro, io sono solo la cornice».
In “Kobarid”, invece, Boni legge con straordinaria intensità le parole vere dei diari e delle lettere dei soldati italiani e austriaci al fronte, in un documentario radicale e potente che alterna inquadrature fisse dei veri luoghi della battaglia, ripresi al giorno d’oggi, con sequenze di solo schermo nero e voce.
Le frasi dei militari in trincea aprono squarci di quotidianità al freddo e alla pioggia, sgomente riflessioni su come ci si abitua all’orrore (“Quando i morti sono molti”, scrive un soldato, “l’agonia è minore rispetto a quella che si prova per la gamba di uno sconosciuto stritolata dal treno”), agghiaccianti cronache di battaglia, a tu per tu con la morte.
Un carnaio senza giustificazioni, che ha colpito Boni nel profondo: «La guerra - prosegue l’attore - non serve a niente. È una follia di poche persone che non si mettono d’accordo e sacrificano vite a un fine inutile. Nelle lettere leggiamo che all’inizio i soldati rimanevano colpiti dalle morti, poi diventava assuefazione. Il monito è che non ci si deve abituare a tutto: si deve mantenere la capacità di scindere il bello dal brutto, il male dal bene».
Boni, cosa l’ha convinta a partecipare al film?
«Non lo chiamerei né film né documentario, ma esperienza cinematografica, perché si ascoltano le parole dei ragazzi su schermo nero e poi, davanti alla macchina fissa che riprende quel pezzo di bosco o di Carso al giorno d’oggi, si ripristina l’esperienza di ciò che hanno vissuto».
Cosa l’ha commossa di più in quei testi?
«La semplicità del quotidiano, quanto noi oggi diamo tutto per scontato: abbiamo acqua corrente, stiamo al caldo, possiamo usare un bagno. Lì era speciale anche una lettera che arrivava dalla mamma in un anno, mentre oggi non si vive se non si ha il cellulare in mano. Spesso, i soldati diventavano amici dei nemici. Erano ragazzi, uguali da entrambe le parti».
Nessuno di loro aveva voglia di uccidere…
«C’è un momento del film in cui si parla di ammazzare nel mucchio, con centinaia di cannoni e mitragliatrici. Ma quando sei di fronte al ragazzo di vent’anni come te e lo guardi negli occhi, non ti viene quell’istinto omicida, sparisce la follia e subentra l’uomo, che è più forte».
Eppure la retorica nazionale ha vestito il conflitto di epica eroica…
«Oggi li chiamiamo eroi per lavarci la coscienza ma non andavano in guerra con la patria nel petto: a parte alcuni casi, venivano obbligati. Da queste lettere esce la coscienza popolare di quei ragazzi sradicati alle loro vite».
Com’è stato invece lavorare fra i ragazzi di oggi in “La compagnia del cigno”?
«Ero quasi in imbarazzo per quanto sono eccezionali: ogni giorno vanno al liceo, pranzano, studiano e poi stanno 7-8 ore sul loro strumento. Non sanno neanche cos’è un aperitivo. Fanno sacrifici immensi per potersi conquistare il posto magari di violino di fila, nemmeno di solista. Sono musicisti, non attori professionisti, eppure sul set hanno messo più passione di tanti miei colleghi». —
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