Al Grand Hotel Europa con Pfeijffer per digerire la fine di una storia d’amore



Seicentodieci pagine possono fare un po’ paura, se si ha l’abitudine di consumare il tempo piuttosto che di viverlo, se preme la meta più che il viaggio, ma basta entrare con Ilja Leonard Pfeijffer, autore e voce narrante, nel maestoso salone del Grand Hotel Europa (traduzione di Claudia Cozzi, Nutrimenti, 22 euro) per sapere che neanche un secondo andrà sprecato.

Pfijffer è considerato uno dei più importanti esponenti del mondo letterario olandese, ha pubblicato romanzi, poesie, teatro, studi scientifici e il suo “La Superba”, dedicato alla Genova in cui vive dal 2008, ha vinto numerosi premi. Qui racconta di come è andato a rinchiudersi in un affascinante, isolato hotel di un generico nord per “trovare il tempo per le risposte” di cui ha bisogno per capire e digerire la fine della sua storia d’amore, consumata principalmente tra Venezia e la Liguria, con Cloe, storica dell’arte alla ricerca dell’ultima opera di Caravaggio. Mentre i ricordi lo assalgono “come uno sciame di api furibonde”, Pfeijffer esplora l’hotel e i suoi abitanti: da Abdul, il portiere arrivato da lontano per cui “il passato è un brutto posto che è meglio dimenticare”, al saggio studioso Patelski, al nuovo proprietario cinese signor Wang che punta al tutto esaurito, alla misteriosa precedente signora del luogo, che nell’albergo vive senza farsi trovare. Dunque Pfeijffer ricorda, perché «chi non ricorda tutto ciò che vuole dimenticare, corre il rischio di dimenticarsi di dimenticare alcune cose» e perché «non vi è alcuna destinazione senza chiarezza sulla provenienza e nessun futuro senza una versione decifrabile del passato». E ancora: «il tempo esiste grazie alle scelte. Le scelte esistono grazie alle alternative. Un futuro esiste grazie ad un passato che dev’essere dimenticato».

A partire da questo pensare passato e futuro lo scrittore, che dichiaratamente elegge a tema della sua scrittura la «linea di separazione nebulosa e sempre più imprecisa tra vero e falso, dato di fatto e finzione, realtà e fantasia, verità e invenzioni» analizza i termini dell’amore, il fenomeno del turismo («Lei crede che viaggiare allarghi gli orizzonti? Io credo che riflettere allarghi gli orizzonti»), quello della migrazione («è impossibile fermare la migrazione: chi lo crede non conosce la storia dell’umanità… da quando abbiamo cominciato a stare su due gambe non abbiamo mai smesso di camminare»), l’imprescindibilità della cultura come «memoria collettiva di tutte le storie che definiscono chi siamo e ciò che significa per noi essere degli esseri umani», e l’identità dell’Europa.

La voce di Pfeijffer, stupita, sensuale e disarmata quando ripensa Cloe, aspra e giudicante quando analizza quelli che si muovono solo per trovare conferma ai propri pregiudizi, solidale ed ammirata nell’ascoltare Abdul, diventa quasi tenera e lirica nel suo canto d’amore per il vecchio continente, luogo in cui «l’unica certezza è che si deve credere nel pensiero, dove nel corso di una lunga e faticosa storia si sono provate già così tante soluzioni che si sono cominciati ad amare i problemi… dove le cicatrici sono belle perché rendono prudenti». «Voglio essere - scrive - un patriota dell’Unione Europea che lotta giorno per giorno contro sorpassati interessi nazionali». E ancora «Le radici sono più importanti delle destinazioni». —



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