Addio Vittorio Sermonti lo scrittore e regista che dava voce a Dante

ROMA. È morto a Roma lo scrittore, attore, regista, Vittorio Sermonti. Aveva 87 anni. Pochi giorni fa il suo ultimo tweet in cui annunciava che si sarebbe preso qualche giorno di riposo.
di ALESSANDRO MEZZENA LONA
Ogni vita si può sintetizzare in tre parole. Per quella di Vittorio Sermonti, a essere superficiali, basterebbe dire: «Voce di Dante». Come hanno fatto molte agenzie mandando in rete la notizia della morte. Perchè è indiscutibile che il suo nome richiama alla memoria la “Divina Commedia”. Per la lettura appassionata, inesauribile, che ha dedicato al capolavoro di Dante.
Ma Vittorio Sermonti è stato tanto altro. Nato a Roma il 26 settembre del 1929, sesto di sette fratelli, figlio di un avvocato di origine pisana, Sermonti ha dedicato al teatro e alla radio la sua vita. Firmando 120 regie e lavorando con attori del calibro di Renzo Ricci e Vittorio Gassman, Carmelo Bene e Paolo Paoli, Sarah Ferrati e Valeria Moriconi
Amico di intellettuali e scrittori come Giorgio Bassani, Cesare Garboli, Pier Paolo Pasoilini, aveva iniziato a scrivere con la benedizione di Roberto Longhi. Firma di riviste come “Paragone”, di quotidiani quali “L’Unità” e il “Corriere della Sera”, tra i suoi tanti libri (“La bambina Europa”, “Giorni travestiti da giorni”, “Il tempo fra cane e lupo”), l’ultimo, il romanzo autobiografico “Se avessero”, era entrato nella cinquina dei finalisti del Premio Strega 2016.
Per niente disposto a fare sconti a chi, come Roberto Benigni, avvicina il grande pubblico alla “Divina Commedia” con un piglio pop («Dante è duro e severo e per affrontarlo e farlo capire bisogna essere duri e severi», spiegava), Sermonti aveva iniziato il suo lungo viaggio dantesco grazie a uno studioso: Gianfranco Contini
Raccontava in un’intervista: «Contini l’ho conosciuto un pomeriggio in casa Longhi. Mi capitò in seguito di leggere un suo saggio dedicato a Dante: semplicemente strepitoso. E quando nel 1986 decisi di realizzare il mio progetto dantesco andai a trovarlo a casa sua a Firenze. Gli esposi l'idea e in pratica gli chiesi di mettermi una mano sulla testa e benedirmi. Mi guardò e poi disse: mi foni. Intendeva: mi legga qualcosa di Dante. Aprii il quinto canto dell'Inferno e incominciai. Dopo un po' mi interruppe: l'ha solfeggiato benissimo, ora lo legga. A quel punto mi sentii completamente libero»
Per niente spaventato dall’idea dxi morire («anche se mi dispiace»), aveva confessato di recente: «Sto raccogliendo da una quindicina di anni una serie di aforismi. Sostengo che la morte non esiste».
alemezlo
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