Addio Sean Connery, dalla Russia a Trieste l’agente segreto più amato di sempre
A 90 anni, è morto il grande attore scozzese Sean Connery. Primo e iconico interprete di James Bond, ha poi dimostrato nella lunga carriera la sua versatilità conquistando un Oscar nel 1988 come miglior attore protagonista per gli Intoccabili, due Bafta e tre Golden Globes.
TRIESTE. «Che resti un segreto fino a quando arriviamo a Trieste», dice Sean Connery, nei panni di James Bond, al capotreno dell’Orient Express allungandogli un fascio di bigliettoni per tacere su due cadaveri nel vagone-letto. Il film è “Agente 007, dalla Russia con amore” (1963), il secondo della mitica serie, titolo che lega per sempre Connery all’affetto dei triestini, ribadendo il ruolo della nostra città nella leggenda del cinema di spionaggio (con citazioni anche in “Rapporto confidenziale” di Orson Welles e nel recentissimo “Tenet”). «Troverete la città di Trieste molto interessante», suggerisce poco dopo il killer Robert Shaw a Bond cenando nel vagone-ristorante, aggiungendo: «Naturalmente non è Londra…».
Non sarà stata Londra, ma negli anni ’60, in piena Guerra fredda, Trieste era l’avamposto occidentale sulla Cortina di ferro, e col boom delle coproduzioni d’imitazione dette “Eurospy”, era diventata anche una piccola Hollywood dei tanti “007 all’italiana”. Questo che toccò da vicino la città fu solo uno degli innumerevoli effetti collaterali dello straordinario fenomeno messo in moto, con la maschera della spia che lo rese celebre, da Sean Connery, il grande attore ieri scomparso all’età di 90 anni. Ma anche se nessun altro interprete è mai stato altrettanto identificato con un solo personaggio, la star scozzese ha saputo comunque costruirsi una splendida galleria di ruoli molto diversi. Prendete la mitica frase “Il mio nome è Bond, James Bond” e sostituitela con “Il mio nome è Connery, Sean Connery”. Non cambierà nulla, il volto che apparirà nella vostra mente sarà sempre il suo. Se c’è un attore che è stato capace di scrollarsi di dosso un personaggio per lui ingombrante, ricominciando una nuova, brillante carriera, questi è proprio Sean Connery.
Scozzese purosangue di Edimburgo (“Scotland Forever” era il tatuaggio che aveva sul braccio destro), figlio del popolo (padre camionista, madre cameriera), sullo schermo e nella vita Connery è stato sempre un’icona di flemma, sicurezza e sex-appeal, misti a una costante autoironia. Il corpo atletico ed elegante, lo sguardo freddo e penetrante, il volto regolare ma singolare, addolcito negli ultimi anni da una barba patriarcale, celavano il carattere di ferro di un uomo che aveva saputo superare le avversità della vita. A 13 anni Connery abbandona gli studi, si arruola in Marina (da cui viene congedato per un’ulcera), fa tutti i lavori possibili tra cui il lucidatore di bare, e nel 1953 entra nello spettacolo.
Dovranno passare ancora nove anni prima dell’incontro con Bond, che avviene battendo concorrenti come Cary Grant e Rex Harrison (anche se Ian Fleming, scontento, commentò: «Non è esattamente quello che avevo in mente»). “Agente 007 - Licenza di uccidere” di Terence Young è del ’62, e da quel momento Connery entra nella leggenda. Sarà “l’unico vero Bond”, agente 007 in ben sette pellicole, l’ultima a 53 anni nel 1983, “Mai dire mai”, dove per prepararsi prende lezioni di arti marziali da Steven Seagal.
Ma fra uno 007 e l’altro Connery affronta anche ruoli diversi coi massimi registi, rivelandosi a sorpresa grande attore versatile, ad esempio con Hitchcock in “Marnie” (’64) e nel drammatico “La collina del disonore” (’65) dello stesso regista della serie di Bond, Terence Young. Poi nel ’70 Connery fornisce un’intensa prova ne “I cospiratori” di Martin Ritt, dove è il leader di una comunità di minatori oppressi. Altrettanto persuasive saranno le prove nel fantascientifico “Zardoz” (’74) di Boorman, ne “Il vento e il leone” (’75) di Milius, “L’uomo che volle farsi re” (’75) di Huston, “Robin e Marian (’75) di Lester.
Divenuto una sorta di icona vivente, dagli anni ’80 sarà presente, come protagonista o comprimario di lusso, in tanti film che lui renderà popolari, da “Highlander” (’86) di Mulcahy a “La leggenda degli uomini straordinari” (2003) di Norrington. In particolare, le interpretazioni sfoderate da Connery nei panni di Gugliemo da Baskerville ne “Il nome della rosa” (’86) di Annaud, del poliziotto irlandese Jimmy Malone ne “Gli intoccabili” (’87) di De Palma (che gli valse l’Oscar), del comandante di sottomarino in “Caccia a ottobre rosso” (’90) di Mc Tiernan, del detective John Connor in “Sol levante” (’93) di Kaufman, del rapinatore gentiluomo in “Entrapment” (’99) di Amiel, dello scrittore solitario in “Scoprendo Forrester” (2000) di Gus Van Sant, rimarranno per sempre scolpite nella memoria dei cinephiles.
A suo agio tanto nelle caratterizzazioni quanto nelle prove d’autore, capace di governare con straordinaria scelta dei tempi e dei ritmi tanto il registro ironico, quanto quello drammatico, anche invecchiando Connery non perde il leggendario sex-appeal conquistato fin dai tempi di 007. Catherine Zeta-Jones, sua partner in “Entrapment”, confessò: «È l’uomo più sensuale che abbia mai incontrato».
Idolatrato da generazioni di spettatori in tutti il mondo, Connery è stato omaggiato di recente da un fan illustre, Pedro Almodovar, che ha dichiarato di aver visto decine di volte “Goldfinger” durante il lockdown, ricordando che Connery gli telefonò dopo aver visto “Parla con lei”: «Che bello sentire la sua voce, una voce profonda da grande attore». —
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