Addio Olmi, intenso cantore del territorio

È morto ieri in ospedale ad Asiago il regista Ermanno Olmi. Aveva 86 anni, era nato il 24 luglio 1931 a Bergamo. Regista autodidatta, pioniere nel campo del documentario, seppe creare un linguaggio personale e fuori da ogni schema fin da opere come «Il tempo si è fermato» del ’59, «I recuperanti» (’69) e la «Circostanza» (’74). Sperimentatore incessante, portò per la prima volta al cinema il dialetto come lingua nel suo capolavoro, «L'albero degli zoccoli» del 1978, e i grandi miti della tradizione cristiana («Camminacammina», ’82). Il regista si è spento dopo un breve ricovero, a seguito della malattia che l’aveva minato da tempo. Gli erano accanto la moglie Loredana e i figli Andrea e Fabio. I funerali si svolgeranno in forma strettamente privata.
Con Ermanno Olmi ci lascia, pochi giorni dopo la scomparsa di Vittorio Taviani, un altro dei grandi maestri artisticamente nati negli anni ’60, ma che sono rimasti attivi - esempi longevi di “modernità” - fino praticamente a oggi (fra quelli che rimangono, Paolo Taviani, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio). La bussola di Olmi era l’umanesimo, i suoi temi centrali il lavoro e la vita quotidiana della gente comune. Olmi è stato forse l’unico regista del cinema italiano che ha raccontato (con i primi documentari aziendali con l’Edison, con capolavori come “Il posto” o “L’albero degli zoccoli”, Palma d’oro a Cannes) la trasformazione sociale e antropologica in Italia nel passaggio da un’economia agricola a una industriale.
Per farlo, la sua attività appare da subito centrifuga e anomala. Olmi è una figura che non segue mai le vie e i luoghi tradizionali della produzione. Vive e lavora prima a Milano, poi ad Asiago, apre una scuola di cinema a Bassano, accentuando in apparenza con le sue scelte la diversità e l’isolamento. Coltiva infine un importante legame pluriennale con una figura “di frontiera” come il critico triestino Tullio Kezich.
“Xe stada una cerimonia belissima! No pareva gnanca una cerimonia, piutosto una festa fra amici in osteria!”. A caldo, disse commosso più o meno così Kezich al Lido di Venezia, nell’atrio del Palazzo del Cinema il 5 settembre 2008, subito dopo la consegna a Ermanno Olmi del Leone d’oro alla carriera da parte di Adriano Celentano. Kezich morì poco meno di un anno dopo, alla vigilia del festival, ma fece dunque in tempo ad assistere all’importante premiazione di Olmi, di cui era stato uno dei più stretti sodali e amici storici fin dai primi anni ’60. Ma Kezich rappresenta solo il primo e più significativo vincolo, fra i diversi che sono intercorsi, fra il maestro del cinema italiano scomparso ieri e la nostra città. Olmi ha raccontato l’Italia anche con un po’ di Trieste nel cuore e nella mente.
Il rapporto fra Kezich e Olmi nacque nel 1960 quando, entrambi residenti a Milano, furono messi in contatto dall’amico comune, l’attore e aiuto regista Peppino Calzolari, che suggerì a Olmi di far leggere a Kezich il copione del film che il regista preparava da “Il sergente della neve” di Mario Rigoni Stern. Così si incontrarono a Milano, Olmi gli organizzò una proiezione del suo primo lungometraggio presentato a Venezia, “Il tempo si è fermato” (1959), e Kezich rimase “a bocca aperta” («Avevo scoperto un grande uomo di cinema», scrisse).
Diventarono molto amici e Tullio seguì Ermanno da vicino nella lavorazione de “Il posto” (1961), dove fece anche una particina, film emblema di un cinema che non si distacca mai dalla realtà quotidiana, narrando la ricerca del primo impiego da parte di due ragazzi. Poi Kezich si ritrovò fra le mani il primo progetto di Eriprando Visconti, “Una storia milanese”, e propose di realizzarlo con la stessa troupe de “Il posto”. E per coinvolgere Olmi, che era un po’ dubbioso, gli fece fare anche l’attore. Nacque così la casa di produzione “22 dicembre”, il cui nome derivò semplicemente dal fatto che andarono dal notaio il 22 dicembre 1961, e che nella sua breve ma importante esistenza finanziò altri esordienti di rilievo come Lina Wertmüller (“I basilischi”, 1963) e Gianfranco De Bosio (“Il terrorista”, 1963), oltre al film tv dello stesso Olmi “I recuperanti” (1970), tipico esempio del suo cinema che guarda con occhio compassionevole a un’umanità colta nell’umile laboriosità quotidiana.
Fra Olmi e Kezich ci fu una grande amicizia. Tullio fu testimone al matrimonio segreto di Ermanno, quando lui sposò Loredana Detto, che era stata la protagonista de “Il posto”. Ermanno, Loredana e Tullio, in veste di produttore, presentarono “Il posto” a Trieste poco dopo la Mostra di Venezia 1961, dove il film era stato premiato dalla critica. La proiezione si svolse al cinema Grattacielo di via Battisti da poco inaugurato. “Poca gente in sala”, ricorda oggi Lorenzo Codelli (che all’epoca frequentava il ginnasio a due passi dalla sala). Al contrario della folla al Teatro La Contrada vent’anni fa, quando Olmi rese omaggio alla rappresentazione della commedia autobiografica di Kezich “L’americano di San Giacomo”.
Nel frattempo Kezich e Olmi, dopo la crisi della “22 dicembre”, non si videro più per un po’, ma presto lavorarono insieme a “La leggenda del santo bevitore”, film Leone d’oro a Venezia nel 1988 (Olmi regista e Kezich sceneggiatore, premiato con il Nastro d’argento), e fu proprio la prima moglie di Kezich, Lalla, a consigliare a Olmi la lettura del racconto omonimo dello scrittore austriaco Joseph Roth. Quando Lalla Kezich morì, Olmi le dedicò il film.
Ma quello con Kezich non è il solo legame di Olmi con la cultura cinematografica triestina o regionale (il regista era tra l’altro componente della giuria del Premio Nonino e molto amico della famiglia dei distillatori friulani). Il grande attore Omero Antonutti, ad esempio, nato a Basiliano (Udine) ma vissuto dall’infanzia a Trieste, ha interpretato Noè nel tv movie di Olmi “Genesi: la creazione e il diluvio” (1994). Poi, il critico triestino Lorenzo Codelli ha curato il volume “L’albero degli zoccoli, 30 anni dopo”, presentato a Cannes nel 2008 tre decenni dopo la Palma d’oro vinta da quel capolavoro. E il critico Sergio M. Grmek Germani ha presentato lo scorso autunno al festival I Mille Occhi l’inedito mediometraggio di Olmi “Il tentato suicidio nell’adolescenza”, a metà tra documentario e racconto intimo, proiettato a Trieste subito dopo la prima a Venezia, significativamente le due città di Franco Basaglia.
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