Addio Luciano De Crescenzo raccontò a tutti la “sua” filosofia

Era, Luciano De Crescenzo, scomparso ieri a Roma a quasi 91 anni, soprattutto un grande intellettuale. Talmente grande da permettersi lo sguardo pop sul suo sapere. Talmente grande da rendere la cultura accessibile a tutti, spaziando con disinvoltura dalla scienza alla letteratura, dalla storia, sua passione prioritaria, alla matematica. Un divulgatore si direbbe oggi, il primo dei divulgatori. Ma De Crescenzo sapeva dare a quest’arte il gusto sapido dell’ironia dissacrante che costituiva parte inscindibile del suo essere speciale. Anche come attore, regista, scopritore di talenti.
Ci voleva lui e infatti lo fece, a raccontare la storia della sua vita che di suo e senza fronzoli era già da commedia. Nato a Napoli nel quartiere San Ferdinando nel 1928, frequentò le elementari con Carlo Pedersoli in arte Bud Spencer con cui restò amico tutta la vita dando vita a siparietti impagabili. I genitori si sposarono tardi grazie ai buoni uffici di una sensale e lui, cresciutello, lavorò nell’azienda di guanti del padre. Durante la Seconda guerra mondiale traslocò a Cassino perché ritenuta dal padre molto più sicura di Napoli. Cassino fu rasa al suolo risparmiando lui e pochi altri.
Ma in Luciano bruciava la voglia di conoscenza. Si laureò presto in Ingegneria idraulica a Napoli con il massimo dei voti. Per mantenersi fece di tutto, dal venditore di tappeti al cronometrista alle Olimpiadi di Roma 1960. Queste esperienze lo convinsero a trasferirsi a Milano dove fu assunto all’Ibm e vi rimase per vent’anni. La promozione mai ricercata arrivò per convincerlo a lasciare il lavoro e dedicarsi alla scrittura.
Maurizio Costanzo fu il primo a interessarsi a lui dandogli la possibilità di presentare nel suo salotto la prima fortunatissima opera, “Così parlò Bellavista”. Era il 1976 e nel 1977 aveva venduto più di 600 mila copie, un’enormità che non lo impressionò quanto il sapersi tradotto in giapponese. Un vero caso letterario che aprì la strada ad altre pubblicazioni felici: più di 50 libri e 25 milioni di copie nel mondo di cui 10 solo in Italia. Forse l’autore più capillarmente tradotto, in 19 lingue.
Romanzi e saggi capaci di rendere materie ostiche più comprensibili, avvicinando la gente al sapere senza mai ergersi a maestro. Credeva in una cultura pop, democratica e simpatica. Talento che gli fu riconosciuto tra gli anni ’80 e ’90 quando condusse per la Rai il programma “Zeus-Le gesta degli dei e degli eroi” sui miti e le leggende degli antichi greci. Tanto aveva successo che Forza Italia gli propose di candidarsi tra le sue fila. Gentilmente De Crescenzo declinò l’invito forse per la simpatia che aveva sempre nutrito per Emma Bonino e le battaglie radicali. Per un «ateo cristiano», come si definiva lui, era logico.
Autore tv e regista, senza tralasciare il suo talento d’attore, De Crescenzo poteva considerarsi un creativo. Esordì sul grande schermo diretto dall’amico carissimo Renzo Arbore a fianco dell’altro sodale, Roberto Benigni. Era “Il pap’occhio” del 1980 e lui vestiva i panni del Padreterno. Passò dietro la macchina da presa in “Così parlò Bellavista”, di cui fu anche protagonista. Il suo film forse più riuscito è “Croce e delizia” che mise insieme Teo Teocoli e Isabella Rossellini. Recitò accanto a Sophia Loren e a Luca De Filippo in “Sabato, domenica e lunedì” per la regia di Lina Wertmüller con cui fece nel 2001, un boss mafioso nel film tv “Francesca e Nunziata”.
Sposato e separato con una figlia, Luciano era adorato dagli amici e dalle tante donne che continuavano ad amarlo anche dopo la fine delle storie. Perché sapeva creare un legame di affetto e fascinazione da cui era impossibile sciogliersi. Gentile e raffinato, spiritoso e irresistibile: di lui si sentirà, via via sempre più, una grande mancanza. —
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