Addio Luca De Filippo, erede del grande teatro

Il figlio di Eduardo aveva 67 anni, già da bambino il debutto sulle tavole del palcoscenico
Di Roberto Canziani

A 67 anni è morto ieri sera a Roma Luca De Filippo, figlio di Eduardo, nipote di Eduardo Scarpetta. Diagnosticata poche settimane fa, la malattia è stata rapidissima. Dal 2013 era sposato con Carolina Rosi, la figlia del regista cinematografico Francesco, e aveva tre figli, Matteo, Tommaso e Luisa.

di ROBERTO CANZIANI

Sfuggire al cono d’ombra di un padre importante e famoso è quasi sempre impossibile. Luca De Filippo ce l’aveva fatta scegliendo una strada particolare, e solo sua. Piuttosto che allontanarsi dall’alone paterno e sottolineare la propria indipendenza, il figlio di Eduardo De Filippo aveva preferito valorizzare quel legame, metterlo in luce.

Sono cose che succedono quando si vive nel teatro. E succedono anche meglio, quando i cromosomi paterni (Luca era figlio di Eduardo e dell’attrice e cantante Tea Prandi, soubrette si sarebbe detto una volta) danno un volto e una fisionomia nelle quali il riconoscimento, la discendenza, il segno della nobiltà, sono immediati. Non era difficile ritrovare nel volto di Luca i tratti del vecchio Eduardo, ma ingentiliti, giovanili.

“Eduardo mi portava alle pomeridiane – ricordava l’attore - e scriveva delle particine per tenermi con sé in scena. Ricordo un ‘Sabato domenica e lunedì’. Nel primo atto portavo la spesa a donna Rosa che preparava il ragù”. Piccole particine che con gli anni sarebbero diventate grandi ruoli.

Si trova facilmente su YouTube una versione televisiva di “Natale in Casa Cupiello”, dove Luca interpreta il figlio del protagonista, interpretato ovviamente dal padre. Così come è difficile dimenticare, per chi riuscì a vederla a Udine, la versione di “Napoli milionaria!” A quasi sessant’anni dal primo e storico debutto di quel lavoro (il 25 marzo del 1945 in una Napoli liberata e in attesa del resto della Liberazione, il primo capolavoro del teatro italiano del dopoguerra) Luca De Filippo, diretto da Francesco Rosi, riprendeva in mano il personaggio di Gennaro Iovine, reduce di guerra, appena tornato dai campi di prigionia tedeschi. Non c’era ovviamente l’immediatezza della Storia, ma un approfondimento e una sensibilità più meditate, in cui Luca condensava l’eredità del padre.

Ridare la vita e respiro ai titoli di Eduardo furono la strada principale lungo al quale Luca si incamminò (ne cito solo alcuni: “Le voci di dentro”, sempre con la regia di Rosi, “Uomo e Galantuomo” (entrambi visti al Rossetti), “La grande magia”, “L’arte della commedia”, dove aveva al fianco Umberto Orsini, oppure “Penziere mieje”. Ma ciò non lo distolse dal cercare anche un suo percorso di gusto e di affinità, nel grande panorama del teatro che era venuto dopo Eduardo. Nel 1981 aveva fondato la sua compagnia, con la quale cavalcare territori diversi: come i contemporanei Beckett (“Aspettando Godot”) e Pinter (“L’amante”). Lo catturarono, ma non troppo anche il cinema e la televisione. Nel ‘67, quando ancora si faceva chiamare Luca Della Porta, era insieme a Helmut Berger in “I giovani tigri”. Di recente aveva lavorato con Muccino, e nel 2012 con Penelope Cruz in “Venuto al mondo” di Castellitto. Il suo ultimo ruolo cinematografico, nel film di Gianfranco Cabiddu, “La stoffa dei sogni”.

Luca De Filippo sarebbe dovuto approdare a Udine il prossimo aprile con “Non ti pago”. Era già in programma, tra lui e chi scrive, una svelta conversazione sul tema dell’eredità, quella di cui si parla nel testo, ma anche la sua, il segno distintivo della sua carriera. E spiace davvero tanto doverne parlare, con un doloroso anticipo, qui, ora.

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