Addio Giuseppe Sgarbi, il farmacista “Nino” che debuttò con un libro a 93 anni

È morto ieri a Ferrara Giuseppe Sgarbi, detto “Nino”, 97 anni, farmacista con la passione per l’arte e padre di Elisabetta e Vittorio. Era nato a Badia Polesine, il 15 gennaio 1921. L’8 febbraio uscirà postumo il suo ultimo romanzo, pubblicato da Skira con il titolo “Il canale di cuori”.
Solo nel 2014 aveva esordito nella narrativa con il romanzo “Lungo l’argine del tempo”, che la figlia Elisabetta l’aveva in qualche modo invitato a scrivere, e che era stato molto apprezzato. «Oggi mio padre ha intrapreso un viaggio lontano da noi e questo è irreparabile per una figlia», ha commentato Elisabetta. «Mio padre è uno scrittore e di ogni scrittore si deve parlare al presente perché rimangono i libri. E attraverso i libri, Nino Sgarbi, ci parla ancora. E chi vorrà ritrovarlo o conoscerlo per la prima volta, potrà ritrovarlo e conoscerlo attraverso i suoi libri. Tutto ciò non allevia il mio dolore e quello di Vittorio ma rende la giusta gloria e il giusto riconoscimento alla sua vita e alla sua eleganza e alla sua arte».
Sgarbi era farmacista, ma ha sempre amato inventare e raccontare storie. Storie, soprattutto, della campagna veneta dove era nato, della sua famiglia (il padre Vittorio, la mamma Clementina) e dell’incontro con Caterina “Rina” Cavallini, la “spaccatutto” conosciuta nei laboratori di Chimica dell’Università di Ferrara, sposata pochi mesi dopo all’insaputa di tutti. Dei figli Vittorio e Elisabetta. Della sua farmacia e della sua casa di Ro Ferrarese trasformata in cenacolo di intellettuali artisti (Giuseppe Bassani, Valerio Zurlini, Alberto Moravia, Umberto Eco, Federico Zeri, Pier Vittorio Tondelli).
Queste storie erano rimaste chiuse nella sua memoria fino a pochi anni fa, fino a quando, novantatreenne, la figlia Elisabetta lo aveva in qualche modo «costretto» a metterle su carta. Erano nati così quattro romanzi in cinque anni, tutti editi da Skira: “Lungo l’argine del tempo” (2014, Premio Bancarella Opera Prima e Premio internazionale Martoglio); “Non chiedere cosa sarà il futuro” (2015); “Lei mi parla ancora” (2016, Premio Riviera delle Palme), struggente, appassionata elegia dedicata alla sua Rina. Fino all’ultimo “Il canale dei cuori” (con le acque del fiume Livenza trasformate in un pretesto ancora una volta per ricordare) sempre in bilico tra malinconia e amore
In “Lungo l’argine del tempo” le sue memorie raccontano di una campagna antica e nobile al confine tra due terre ricche di storia come Veneto ed Emilia, in uno dei più famosi mulini dell’area del Po: il primo alimentato dall’elettricità e non dalla forza dell’acqua. Un racconto evocativo, appassionato e appassionante che dalla fine della Grande Guerra arriva ai giorni nostri, rileggendo, senza mai perdere vivacità e freschezza, alcune tra le pagine più intense del Novecento. Compagno di strada e avventure, grande suggeritore ed evocatore di immagini, e testimone privilegiato, il Po: amico, confidente, fratello.
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