Addio Giorgio Albertazzi il teatro resta orfano dell’ultimo imperatore

FIRENZE. È morto nella notte Giorgio Albertazzi. L'attore si trovava in Toscana nella casa della moglie Pia De’ Tolomei. Era nato a Fiesole il 20 agosto 1923. La sua più recente apparizione in teatro era stata nel “Mercante di Venezia”. Ultimo grandi vecchio del teatro italiano, aveva recitato negli ultimi anni in alcuni spettacoli prodotti dallo Stabile del Friuli Venezia Giulia: “Giulio Cesare”, “La casa di Ramallah”, “Cercando Picasso”.
di ROBERTO CANZIANI
Parlare di lui soltanto come di uno fra grandi interpreti del teatro italiano non è esatto. Giorgio Albertazzi è stato sì attore - e di quelli più applauditi - ma in questa professione ha riversato gli altri saperi a cui era naturalmente portato: scrivere, progettare, dirigere, insegnare. Figura di artista intellettuale come quelle che solo il secolo scorso, il formidabile '900, ha saputo creare, incrociando saperi umanistici e pratiche di artigianato. Nel suo caso, di palcoscenico. Uomini, e naturalmente anche donne, in cui l'adesione alla vita e alla storia, anche se dalla parte sbagliata, diventava un tessuto di pensieri e di ricerca dentro se stessi.
Per questo, a voler ricordare oggi, l'Albertazzi che ci ha lasciati ieri, l'immagine più naturale è quella che lo vede indossare la tunica bianca dell'imperatore romano Adriano nel titolo teatrale che continuerà probabilmente a rappresentarlo. L'adattamento e la regia che Maurizio Scaparro aveva fatto del romanzo di Marguerite Yourcenar, "Memorie di Adriano". Uno spettacolo nato nel 1989, che ha attraversato i decenni e che Albertazzi ha continuato a replicare fino a poche settimane fa, con una presa sul palcoscenico e sul pubblico senz'altro invidiabili. Lo portò anche al Teatro romano di Trieste, nell’agosto 2005.
Era nella figura imperatore sapiente che Albertazzi oramai si identificava. Adriano morì a 62 anni nella sua residenza campana di Baia. Novantatré ne avrebbe compiuti Albertazzi nel prossimo mese di agosto. Una vecchiaia luminosa, che non ha mai dato l'impressione di ripiegamento e stanchezza, né un accenno di abbandono. Anzi. Il portamento anticonformista ha mantenuto giovane Albertazzi, senza che in lui si cancellasse una avvenenza classica, ciò che ne aveva fatto uno dei volti più ammirati dello spettacolo del dopoguerra. La generazione che nei primi anni Sessanta incontrò il cinema "difficile" di Alain Resnais ricorda il volto impenetrabile dello Straniero che turba il presente di una affascinante Delphine Seyrig in "L'anno scorso a Marienbad" (1961). E sempre più popolare divenne quel volto quando, nella grande stagione degli sceneggiati tv, Albertazzi incarnò il ruolo del divo da piccolo schermo, interprete di produzioni tv a puntate che tenevano incollate le famiglie al video. Da "Vita di Dante" (1965, e Beatrice era la 15enne, silenziosissima Loretta Goggi) al memorabile dottor "Jekyll" (1969), dove lavorava assieme a Bianca Toccafondi. Fino a "George Sand" (1981), di cui era regista, sceneggiato inteso come dedica alla sua compagna d'arte (e per un lungo periodo anche di vita) Anna Proclemer.
Le donne, le belle donne, sono state del resto leit-motiv della vita di Albertazzi. Anche se a volte, con una caduta imperdonabile di stile, le associava all'altra sua grande passione: i cavalli. Nel 2007 si era unito in matrimonio con Pia De' Tolomei. Non l'eroina dantesca, ma l'aristocratica fiorentina: 84 anni lui, 48 lei. Altro clamore due anni fa quando aveva partecipato a "Ballando con le stelle" su RaiUno, e si era conquistato il titolo di concorrente più anziano.
Con la stessa disinvoltura si portava addosso l'ombra più scura della sua vita. L'adesione, quando era ventenne, alla Repubblica Sociale Italiana: quei ragazzi di Salò a cui Albertazzi appartenne e che comandò, plotoni d'esecuzione compresi. «Io non mi pento di quanto ho fatto. A maggior ragione non mi pento di quanto non ho fatto. Non ho fucilato nessuno», scriveva nel volume autobiografico "Un perdente di successo". A cui più tardi, correggendosi (nel libro “I grandi vecchi” di Aldo Cazzullo) avrebbe aggiunto: «E di che cosa dovrei pentirmi? Non amo il pentimento, un sentimento cattolico, che disprezzo».
In occasione del suo novantesimo compleanno aveva spiegato che cosa significasse per lui raggiungere quel traguardo. «Per ora è anche un'esibizione di vitalità. Ci tengo. Ma è anche un fatto genetico: una delle mie nonne è vissuta fino a 107 anni. E io le assomiglio. Però mi creda, la vecchiaia non implica affatto la saggezza».
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