Addio allo stilista Pierre Cardin gigante della moda del futuro

Nato nel ’22 in provincia di Treviso, patì la miseria e trovò il suo riscatto in Francia  Fu il primo sarto di Dior, poi fondò la sua maison puntando sulla sperimentazione

Pierre Cardin, 98 anni, uno dei più importanti couturier della seconda metà del’900, è morto ieri all’ospedale americano di Neuilly, a Parigi. Pietro Costante Cardin era nato il 2 luglio 1922 a Sant’Andrea di Barbarana, frazione del comune di San Biagio di Callalta in provincia di Treviso, da una famiglia di agricoltori.





«Ho lavorato tutta la vita. Ma bisogna lavorare per essere utili agli altri, non per se stessi». Così diceva Pierre Cardin, nel giugno 2016, alla Fenice di Venezia, dove presentava l’anteprima mondiale del musical “Dorian Gray. La bellezza non ha pietà”, di cui era produttore. Lui a lavorare aveva cominciato presto, a 14 anni, nel ’36, come apprendista da un sarto a Saint–Étienne. Aveva lasciato l’Italia nel ’24, piccolissimo insieme alla famiglia, in fuga dal Veneto immiserito del dopoguerra. Dopo una breve esperienza da Manby, sarto a Vichy, nel 1945 Pietro, ormai ribattezzato “Pierre Cardèn”, sbarca a Parigi per lavorare da Jeanne Paquin e poi da Elsa Schiaparelli. Primo sarto della maison Christian Dior alla sua apertura nel 1947 (dopo il no incassato da Balenciaga) è parte del successo del maestro che inventò il New Look. Nel 1950 apre la sua casa di moda, nel ’53 inizia a disegnare l’haute couture, ma la sua carriera ha già preso il volo nel ’51 con i trenta spettacolari costumi realizzati per il ballo in maschera organizzato a Venezia dal multimilionario Carlos de Beistegui, “Le Bal Oriental”, cui prende parte anche Leonor Fini vestita da Angelo Nero, insieme a nobili, artisti e ricchissimi da mezzo mondo.

Cardin è proiettato in avanti, intuisce subito la forza dello street-style, di quello che la gente comune si mette addosso. Si ispira alle tecnologie e alle prime imprese dell’uomo nello spazio e preferisce tagli geometrici, enfatizzati, e tessuti anticonvenzionali. Tra le sue creazioni più famose c’è il “Bubble dress” del 1954, l’abito a bolle, in omaggio alla sua celeberrima casa sulla costiera francese, la Bubble House, progettata dall’architetto ungherese Antti Lovag e composta da una serie di bolle arredate in puro stile futurista anni ’60. Del ’67 è l’abito “Cosmos”, lungo fourreau circondato da “anelli-satellite”, negli anni successivi lancerà i vestiti in pvc, con gli oblò, gli occhiali a mascherina, i pullover-bozzolo, gli shorts, gli stivaloni di vernice.

È antesignano nelle linee, ma anche nella ricerca di nuovi mercati. Nel ’59, primo fra gli stilisti, apre in Giappone un negozio d’alta moda e nello stesso anno viene espulso dalla Chambre Syndacale francese (che lo riammette poco dopo) per aver disegnato una collezione low-cost per i grandi magazzini Printemps. Nel ’66 si stacca dalla Chambre, questa volta di sua volontà, e inizia a presentare le collezioni prima al Teatro degli Ambasciatori e poi nell’Espace Cardin, uno spazio inaugurato nel ’71 che utilizza anche da talent-scout, per promuovere nuovi designer e artisti. In quell’anno lo stilista viene affiancato dal collega André Oliver (a cui fu anche legato sentimentalmente), che nel 1987 si assume l’onere dell’alta moda, fino alla sua morte, per Aids, nel 1993.

Cardin sarto, ma anche abile uomo d’affari. Nell’81 diventa azionista del famoso ristorante francese Maxim’s, di cui moltiplica le sedi nel mondo. A Lacoste ristruttura un castello abitato in passato dal Marchese de Sade e organizza festival teatrali. Ritrova le sue radici italiane con l’acquisto del palazzo di Ca’ Bragadin, a Venezia, dove risiede durante i soggiorni in laguna. «Venezia è una città dove non si deve lavorare e io ho lavorato tutta la vita. Così non ho potuto scegliere di stare nella città del mio cuore», diceva alla Fenice nel 2016. E si rammaricava di non essere riuscito a portare a Marghera il Palais Lumière, una torre alta più di 250 metri con ristoranti e teatri, affossata da veti e burocrazia.

Pare che il suo impero abbia superato, in passato, il miliardo di dollari. «Tutto è cominciato con 200 mila cappotti rossi venduti negli Usa» rivela nel docufilm “House of Cardin”, mostrando i capi con cui era riuscito ad affermarsi sui mercati sovietico e cinese già dagli anni ’70.

Nel 1958, insieme a Roberto Capucci e James Galanos, viene premiato a Boston con l’Oscar della moda. «Cardin e io siamo stati amici - ricordava Capucci in un’intervista al Piccolo di qualche settimana fa - è stato anche mio ospite a Roma. Una persona deliziosa, piacevole, riservata. Sapeva vedere il futuro». —



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