Addio all’attore Flavio Bucci l’indimenticabile Ligabue della tv

Divenne famoso nel 1977 con lo sceneggiato di Nocita. Tanto cinema, da “Il divo” a “Il Marchese del Grillo”, e teatro. Infine, una vita al limite fra alcol e droga

ROMA. Addio all’attore Flavio Bucci, 72 anni, morto a Passoscuro, sul litorale di Fiumicino, nella casa famiglia dove abitava, per un infarto. Due anni fa, a margine della presentazione del docufilm sulla sua vita diretto da Riccardo Zinna dal titolo ’Flavioh’ raccontò di essere rimasto senza soldi e solo, pur avendo due ex mogli, tre figli e la mamma ancora in vita, e di aver speso tutto in alcol, droghe e donne.

Nato a Torino nel 1947 da una famiglia molisano-pugliese, si era formato alla Scuola dello Stabile di Torino fino alla grande chiamata di Elio Petri, che lo volle in “La classe operaia va in paradiso” e poi protagonista de “La proprietà non è più un furto” nel 1973. La grande notorietà arrivò con l’indimenticabile interpretazione del pittore Ligabue, per cui vinse il Nastro d’Argento, nello sceneggiato tv diretto da Salvatore Nocita nel 1977, con il quale tornerà a lavorare ne “I promessi sposi” nell’89. Sempre per il piccolo schermo, recitò ne La piovra (1984) di Damiano Damiani e in L'avvocato Guerrieri-Ad occhi chiusi (2008) di Alberto Sironi, mentre diede la voce a uno dei personaggi più iconici del cinema, il Tony Manero-John Travolta ne La febbre del sabato sera.

La lista delle sue apparizioni sul grande schermo è lunghissima anche se poche volte la qualità dei lavori corrispondeva al suo prorompente talento. Tra tanti titoli si ricordano il metodico e nevrotico giocatore di «Il sistema infallibile» diretto da Carlo di Carlo, il pugliese di «L'Agnese va a morire» con Giuliano Montaldo, il pianista cieco di «Suspiria» con Dario Argento, lo Svitol di «Maledetti vi amerò» con Marco Tullio Giordana, il prete blasfemo e brigante de «Il marchese del grillo» con Mario Monicelli, le collaborazioni con Eriprando Visconti e il viscido Evangelisti ne «Il divo» di Paolo Sorrentino.

In parallelo, portò avanti una fervida carriera teatrale: Opinioni di un clown di Heinrich Böll, Le memorie di un pazzo di Gogol, suo cavallo di battaglia per trent’anni, Pirandello, Shakespeare, Moliére.

Due matrimoni finiti, tre figli. La notorietà lo portò a tanti di quegli eccessi da ridurlo in povertà. Confessava senza inibizioni, in un’intervista: «In teatro guadagnavo anche due milioni al giorno. Per fortuna ho speso tutto in donne, manco tanto, che me la davano gratis, vodka e cocaina. Scarpe e cravatte che non mettevo mai. Mi sparavo cinque grammi di coca al giorno, solo di polvere avrò bruciato sette miliardi. L’alcol mi ha distrutto? Mah, ha mai provato a ubriacarsi? È bellissimo. E poi cos’è che fa bene? Lavorare dalla mattina alla sera per arricchire qualcuno? Non sono stato un buon padre, lo so. Ma la vita è una somma di errori, di gioie e di piaceri, non mi pento di niente, ho amato, ho riso, ho vissuto, vi pare poco? Non mi voglio assolvere da solo e non voglio nemmeno andare in Paradiso». Sabato sarebbe dovuto partire in tournée con il suo ultimo spettacolo, dove raccontava la sua storia, «E pensare che ero partito così bene», con la regia di Marco Mattolini. —

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